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Voto
Diciamolo subito: il grande veterano Barry Levinson ci ha ora consegnato un gran bel mafia-movie, un pezzo da novanta di cinema-cinema – non un filmetto Netflix –, come da anni ormai non si vedeva più sul grande schermo. L’autore di Good Morning, Vietnam, Rain Man, Sleepers e di tante altre grandi opere del passato sembrava aver chiuso la sua brillante carriera a 72 anni, con un mezzo disastro: Rock the Kasbah (2015). E invece si è ripresentato con un film-scommessa di tutto rispetto come The Alto Knights – I due volti del crimine in cui riprende il tema della storia della mafia americana che aveva già esplorato diversi anni fa con Bugsy (1991), interpretato alla grande da Warren Beatty, in cui ricostruiva la vicenda del gangster ebreo Benjamin Siegel (1906 – 1947), detto appunto Bugsy, il Pidocchio o anche il Pazzo. Tra l’altro in quel lontano film comparivano, tra le altre, le figure dei due boss mafiosi italo-americani Frank Costello (1891 – 1973) e Vito Genovese (1897 – 1969) che sono diventati i protagonisti, i mattatori, dell’ultima opera del regista (anche lui di origine ebraica) di Baltimora. E la scommessa (vinta) di cui parlavamo, è consistita proprio nell’aver fatto interpretare questi due fratelli-coltelli dallo stesso attore e cioè da Robert De Niro. A raccontare questo pezzo piuttosto commendevole, di Storia (criminale) americana è stato chiamato un noto esperto del ramo, il giornalista-scrittore italo-americano Nicholas Pileggi (anche lui, ormai, di classe ragguardevole, il 1933) a cui si devono le sceneggiature di due capolavori come Goodfellas (1990) e Casinò (1995), entrambi diretti, com’è noto, da Martin Scorsese. E non solo si doveva raccontare una vicenda complessa e ricca di colpi di scena ma soprattutto renderla cinematografica, ovviamente con qualche tocco di fantasia, per le esigenze degli schermi. E chi meglio di Pileggi sarebbe stato in grado di farlo?

Siamo nella New York dei Cinquanta con a confronto due uomini amici, sin da piccoli e che man mano hanno preso due strade diverse. Conosciuto come “Il Primo Ministro della malavita”, da una parte abbiamo Frank Costello, uno dei boss più influenti della mafia italoamericana, uomo di mondo, persona piuttosto raffinata e amante della diplomazia piuttosto che della forza bruta, che ha intessuto negli anni dei legami politici con le alte sfere della società, cercando di mantenere una facciata rispettabile (o quasi). Dall’altra parte troviamo Vito Genovese, uomo brutale e spietato, che vuole dominare la scena criminale e riprendersi quel posto di capo famiglia mafiosa che una volta era suo prima di dover emigrare, per forza di cose, in Italia. Il cuore del film sta proprio qui, nella loro rivalità sempre maggiore: un’amicizia fraterna d’infanzia che si trasforma lentamente in una guerra sanguinosa, a colpi bassi. Con un tragico punto di rottura che conosciamo proprio all’inizio del film, quando nel 1957 Genovese ordina al suo autista-sgherro Vincent Gigante (interpretato da Cosmo Jarvis) di uccidere Frank per prendere il controllo della famiglia. Ma l’attentato non va come sarebbe logico pensare: Costello che gira senza guardia del corpo, quasi per miracolo sopravvive alla pistolettata sparatagli in testa, ma la lezione lo porterà a scegliere di ritirarsi dalla scena, lasciando Genovese al comando. Non senza, però, essersi tolto, qualche sassolino dalle scarpe. Finale da buddy movie.
Comunque, a differenza di quanto si potrebbe pensare, quello di Levinson non vuole essere un gangster movie d’azione anche se ci racconta un pezzo (vero) di storia di mafia. Il suo intento è, piuttosto, quello di scavare e raccontarci la psiche contrapposta di entrambi i protagonisti, mostrandoci – soprattutto dalla parte di Costello – il peso delle loro scelte, il prezzo umano della loro ascesa e i loro rapporti sentimentali: quello armonico di Frank con la moglie ebrea Bobbie (Debra Messing), quello tempestoso e quasi folle di Vito con la sua Anna (Kathrine Narducci). In questo intento l’idea principe di Levinson è stata quella di affidare alle capacità mimetiche e attoriali di De Niro, come si accennava, la doppia parte, quasi fosse una sorta di Giano Bifronte con cui disegnare le opposte psiche contrapposte, quella del diplomatico, sornione e ironico Costello e quella del violento e impulsivo Genovese che come ironicamente fa notare Frank non potrebbe un carattere diverso, dato era nato sotto un vulcano, il Vesuvio.

In questa partita a scacchi attoriale dove a giocare/interpretare – play – è sempre lo stesso attore, sta la forza di The Alto Knights, l’origine del cui titolo lasciamo alla curiosità dello spettatore così come il piacere di un film che esibisce la splendida fotografia a colori technicolor del nostro Dante Spinotti, con tante belle Cadillac nelle strade di New York e una potente ricostruzione d’ambiente quasi sempre in interni. A volte, certo, manca la brillantezza dell’azione alla Martin Scorsese ma Barry Levinson ci consegna un film di massimo rispetto, che manderà in sollucchero soprattutto i cinefili d’antan. Chapeau!
P.S. Noi purtroppo l’abbiamo visto, in una proiezione stampa, doppiato in modo ottimo da Stefano De Sando – credo che sia la prima volta che faccio un complimento, meritatissimo, ad un doppiatore – ma consiglio di vedere il buon vecchio, grande gigione De Niro con la sua voce (doppia) originale.
In sala dal 20 marzo 2025
The Alto Knights – I due volti del crimine (The Alto Knights) – Regia: Barry Levinson; sceneggiatura: Nicholas Pileggi; fotografia: Dante Spinotti; montaggio: Douglas Crise; musica: David Fleming; scenografia: Neil Spisak; costumi: Jeffrey Kurland; interpreti: Robert De Niro, Debra Messing, Cosmo Jarvis, Kathrine Narducci, Michael Rispoli, Michael Adler, Ed Amatrudo, Joe Bacino, Anthony J. Gallo, Wallace Langham, Louis Mustillo, Frank Piccirillo, Matt Servitto, Robert Uricola; produzione: Irwin Winkler, Barry Levinson, Jason Sosonoff, Carl Winkler, David Winkler per Winkler Films; origine: Usa, 2025; durata: 123 minuti; Distribuzione: Warner Bros Italia.
