Nel 1996 la Marvel Comics stava vivendo uno dei suoi momenti più difficili. Tecnicamente fallita, era stata messa sotto Chapter 11, procedura che consente il risanamento delle società in dissesto finanziario. Per uscire dalla crisi, l’allora Editor in Chief, Bob Harras, mise in cantiere un evento editoriale che prevedeva la morte di alcuni dei suoi personaggi più importanti e la chiusura delle rispettive testate, i cui dati di vendita vivevano anni di profonda depressione. I personaggi condannati a prematura scomparsa furono nientemeno che i Fantastic Four, Capitan America, Iron Man e gli Avengers. Vale a dire, fatta eccezione per i Fantastic Four, l’ossatura portante del Marvel Cinematic Universe (MCU) dal 2008 ad oggi.
Gli eroi, naturalmente, non erano affatto morti, ma erano “rinati” su una terra alternativa, dando luogo a un ulteriore evento editoriale che prese il nome di “Heroes Reborn”: un successo clamoroso in termini di vendite, meno dal punto di vista artistico, ma alla Marvel di allora tanto bastava.
La vecchia terra 616, intanto, piangendo la prematura scomparsa dei suoi beniamini, attendeva che una nuova generazione di eroi ne prendesse il posto. Ecco, dunque, profilarsi all’orizzonte, come il fulmine da cui prende il nome, lo sconosciuto gruppo dei Thunderbolts.
E’ partendo da premesse simili e non meno complicate – ma in Marvel, come noto, non c’è mai nulla di semplice – che anche il MCU saluta l’esordio dei suoi Thunderbolts sugli schermi cinematografici.
Con la conclusione di Avengers: Endgame, gli Avengers non esistono più, sebbene al nuovo Captain America, Sam Wilson, sia stato proposto di rifondarli dall’ex presidente degli Stati Uniti, Thaddeus “Thunderbolt” Ross (come sa chi ha visto Captain America: Brave New World). Il mondo è da tempo orfano dei suoi eroi più illustri, disorientato e fragile.

Parimenti disorientata e fragile, appare Yelena Belova (Florence Pugh), la nuova vedova nera che ha preso il posto della defunta Natasha Romanova (Scarlett Johansson, qui produttore esecutivo), morta anche lei in Avengers: Endgame. Yelena ora fa la mercenaria, lavorando, senza troppa convinzione né prospettive, per Valentina Allegra de Fontaine (Julia Louis-Dreyfus), ex direttrice della CIA ora sotto impeachment. Inviata da quest’ultima a distruggere alcuni laboratori segreti che avrebbero potuto sancirne la condanna, Yelena incontra sul suo cammino John Walker / U.S. Agent (Wyatt Russell), la criminale Ghost, AKA Ava Starr (Hannah John-Kamen) e soprattutto Bob (Lewis Pullman), all’apparenza un innocuo e dimesso civile, che in realtà è il frutto degli esperimenti voluti dall’ex direttrice CIA. Il mite Bob, manipolato dalla de Fontaine, assumerà l’identità di Sentry “l’uomo dal potere di mille soli”, una sorta di versione marvelliana di Superman, che però nasconde un lato oscuro estremamente pericoloso. Riusciranno i tre anti-eroi, cui presto si aggiungono il russo Red Guardian (David Harbour) e l’ex Soldato d’inverno, Bucky (Sebastian Stan), a sopravvivere ai machiavellici piani della spietata donna, che ora può contare anche sull’aiuto di Sentry?
Il Marvel Cinematic Universe (a volte) è proprio quel che sembra: un enorme frullatore di idee e personaggi creati da altri autori, un enorme calderone, dove l’immenso giacimento immaginifico della Marvel viene preso e rimasticato, divenendo altro. Potenzialmente non ci sono limiti alle storie che si possono raccontare se non per il limite di ricettività del pubblico, cui questi prodotti sono destinati. Prendiamo il caso in esame: i Thunderbolths erano stati pensati dallo scrittore di fumetti Kurt Busiek come un gruppo di ex super criminali che, come i classici lupi vestiti da agnelli, volevano guadagnarsi la fiducia del mondo per poi tradirla nel peggiore dei modi. Un pitch notevole, da cui, evidentemente, la squadra di sceneggiatori (Lee Sung Jin, Joanna Calo, Eric Pearson) si distanzia per sostituirli con dei più convenzionali anti eroi o, meglio ancora, con degli eroi loro malgrado. Siamo dalle parti dei Guardiani della Galassia per capirci, ma alla regia e alla sceneggiatura non troviamo James Gunn. Dalle parti di Kevin Feige, con tutta evidenza, probabilmente qualcuno si è reso conto che, pur essendo infinito il bacino di storie dalle quali pescare, lo schema narrativo alla fine rischia di essere sempre lo stesso e di giungere a noia. Ancor di più, quel qualcuno avrà realizzato che è dal 2019, ovvero dalla chiusura col botto costituita da Avengers: Endgame, che si sta assistendo a una sorta di stagnazione.

Non è un caso dunque che il discorso, in questa pellicola, si faccia sfacciatamente meta-cinematografico con la nuova Vedova Nera che, durante la sequenza di apertura (nella quale si segnala la scena di combattimento inquadrata in plongée, che richiama l’estetica dei videogiochi a scorrimento), scherza sui cliché del genere, lei che, proprio come lo spettatore, esprime apatia e stanchezza nei confronti della monotonia (filmica?) della propria esistenza. Una sorta di coazione a ripetere di cui solo lei, con l’eccezione di Red Guardian, suo contraltare comico, pare avere consapevolezza.
Per allontanarsi dall’ordinaria amministrazione, il gruppo di scalcinati eroi ribalta lo standard di perfezione cui gli Avengers ci avevano abituati. Anche a volerli considerare come una famiglia, ne rappresentano il lato disfunzionale, ciascuno di loro afflitto a vario titolo da traumi irrisolti e fallimenti di ogni genere. Anche questo un cliché, a ben vedere, ma di quelli cari a Stan Lee e Jack Kirby quando crearono i loro amati personaggi. Pur mancando di guizzi che ci facciano gridare al capolavoro (e non poteva essere altrimenti), di questa pellicola va apprezzato il tentativo di rompere gli schemi. Lo scioglimento finale non è demandato a una sfibrante resa di conti fisica (leggasi scazzottata) tra i due schieramenti, mentre la villain principale (la de Fontaine, appunto) risulta credibilmente atipica, occhieggiando ai leader populisti molto a loro agio con la post verità, tanto in voga oggidì.
Basterà tutto questo per capire se con l’imminente “Fase Sei” verrà attuato il tanto sperato cambio di passo?
Per avere una risposta non ci resta che attendere il prossimo luglio e l’uscita nelle sale di Fantastici Quattro – Gli inizi, momento in cui (forse) capiremo se l’universo cinematografico pensato da Feige e soci avrà ancora il giusto appeal sugli spettatori o sarà necessaria una rifondazione completa, con l’immancabile reboot di tutti i franchise.
D’altro canto, scrivendo di Superman, anche Umberto Eco aveva ben presente la dicotomia su cui si basa la vita del supereroe: anelito al cambiamento o eterno ritorno alle origini del mito?
In sala dal 30 aprile 2025.
Thunderbolts* – Regia: Jake Schreier; Sceneggiatura: Lee Sung Jin, Joanna Calo, Eric Pearson; fotografia: Andrew Droz Palermo; montaggio: Harry Yoon, Angela M. Catanzaro; musica: Son Lux; interpreti: Florence Pugh, Sebastian Stan, David Harbour, Wyatt Russell, Olga Kurylenko, Hannah John-Kamen, Lewis Pullman, Geraldine Viswanathan, Julia Louis-Dreyfus; produzione: Kevin Feige; origine: USA, 2025; durata: 126 minuti; distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures.
