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Voto
“Per il potere di queste preghiere spezzati cerchio, prosciugati riviera, riscalda il cuore, proteggi il seme, fa che restiamo per sempre insieme”
Alcune fughe possono essere ritorni a casa e alcuni ritorni a casa possono essere fughe. Dipende sempre da ciò che si cerca (o non si cerca). Mariangela Ciccarello firma con Calypso una storia nella quale l’intimità dell’epica s’incontra con il sospiro della città partenopea. Il mare mugghia all’orizzonte, un senso di sacralità straripa oltre il paesaggio per abbracciare le protagoniste e la vicenda epica tradisce se stessa per piegarsi ad altro. Ulisse può concedersi la possibilità di non abbandonare Calypso (almeno per il tempo di un’illusione).
Calypso riprende due giovani, Angela (Angela Dionisia Severino) e Paola (Paola Maria Cacace), novelle Ulisse e Calypso, nel tentativo di mettere in scena l’incontro e l’abbandono tra eroe e dea. Il teatro però è spazio limitato, non riesce a contenere il volume epico e questo si riversa nella vita delle due: discese sotterranee tra teschi e cerini, re-incontri in spiagge isolate, fughe nelle cavità naturali nelle quali corpo e terra si sfregano, scambi di battute sotto la «luna dei vermi» (quella degli ermafroditi) portano la storia in una dimensione che stordisce la realtà. Un girotondo tamburellante a cui s’intervallano le immagini raccolte dalla regista stessa per fare un passo oltre: Napoli è un mondo altro. Lì «il tempo si è perso», il nostro presente può solo essere evocato.
Mariangela Ciccarello gioca di dettagli, ricercati o persi volutamente per strada, e di visioni ristrette negando la semplificazione della panoramica. L’obbiettivo della mdp non penalizza mai la persona per l’ambiente circostante, tra i due preferisce appoggiarsi al collo dell’attrice o seguire il movimento di dita e bocche, espressioni. Mai si permette di riprendere nella loro interezza i personaggi, anche quando questi sarebbero pronti per un esame globale ancora vi è la fuga nel particolare, scivolando tra le curve dei corpi. Lo stesso fa nei confronti di Napoli quando striscia lungo muri imbrattati nella notte o cerca orbite di teschi avvolti in rosari, illuminati da candele e circondati da oggetti kitsch in salsa partenopea.
Soltanto nel momento in cui la mdp lascia spazio al super 8 allora la globalità è ripresa. Una bellissima miope indagine di relitti naturali e relitti umani (nave Costa Concordia) laddove però l’interezza è minata dall’imprecisato e quindi rimanda non tanto a una possibilità di comprensione completa bensì all’evocazione di qualcosa che mai sarà definito. È un coro quello della pellicola super 8, un coro greco che spiega senza però osare la didascalia e affidandosi a suoni lunghi, distesi, suadenti. Quelli delle sirene.
La sacralità greca diventa culla naturale della narrazione. «È come se l’isola avesse trattenuto la passione della ninfa» ed è a un senso del divino materiale, vicino all’umano, a cui di continuo si ritorna. L’immagine delle due protagoniste, mano nella mano, a pregare paganamente ne è la prova. Non è insomma il Dio cristiano che sente e assiste, ma sono le divinità greche che condividevano aria e labbra degli umani senza spartirne l’immortalità: Ulisse vuole tornare dalla seria Penelope perché è ricordo di morte («come vi attira questa morte. È cosa risaputa, vi illude che possa cambiare qualcosa»), ma sa che è tutta un’illusione, sa che non vuole essere né dio né mortale né maiale, perché è suo destino, di Ulisse, quello di cercare senza sapere cosa stia cercando.
Calypso è quindi un documentario fresco che si culla nell’eco di un amore divino-umano. Lo fa attraverso diversi mezzi, corpi umani e quartieri partenopei, oppure sfruttando il linguaggio teatrale per poi infrangerlo nell’immediato («non vi divertite a guardarvi recitare?»). Ormai non ci sono più limiti, rimane solo spazio per altro, magari per un miraggio. Ma chi è l’ingannato? Ulisse sussurra all’orecchio di Calypso: «non voglio tornare a casa, non tornerò mai, dopo tanti viaggi l’ho capito», e lei ascolta benché lui già sappia che «me ne devo andare, mi sa». È illusione, e questa volta la vittima è divina.
Calypso – regia: Mariangela Ciccarello; sceneggiatura: Mariangela Ciccarello con Philip Cartelli; montaggio: Mariangela Ciccarello; musica: Maila Costa Colbert; colori: Lara Vilanova Sentìs; location sound: Philip Cartelli; interpreti: Angela Dionisia Severino, Paola Maria Cacace, Eleonora Lollo; fondi: Media Arts Assistance Fund; origine: Italia-USA, 2021; durata: 47’.

Bellissimo