Tre ciotole di Isabel Coixet

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Anticipiamo subito le conclusioni. Chi ha letto o soltanto sfogliato l’omonimo volume di dodici racconti di Michela Murgia (classe 1972), la celebre scrittrice sarda purtroppo deceduta prematuramente due anni fa, può immaginarsi quanto sia stato difficile trarne un plot, una sceneggiatura unitaria che potesse sintetizzare al meglio il senso di quest’opera (sottotitolo Rituali per un anno di crisi) uscita nel 2023, a pochi mesi dalla morte della sua autrice. Quella cioè – come si legge nella fascetta del libro – di “un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva”. Un primo plauso va quindi al lavoro dello sceneggiatore Enrico Audenino che insieme alla directora catalana Isabel Coixet ha costruito un coeso racconto cinematografico che a partire dall’ottica speculare dei due protagonisti è riuscito a coniugare sia il lato poetico-letterario sia il contenuto esistenziale, intimistico della scrittura di Murgia. Un secondo plauso va poi alla qualità della messinscena tanto sobria quanto efficace non solo per l’acclarata, ben nota bravura, dei due interpreti, della coppia composta da Marta (Alba Rohrwacher) e Antonio (Elio Germano), ma anche perché mancano gli effettacci pesanti e le ridondanze soprattutto musicali che troppo spesso funestano la produzione di casa nostra. Da questo punto di vista la presenza e l’azione di una veterana straniera come Isabel Coixet  – a quanto ha dichiarato, innamoratasi sin alla prima lettura del libro Tre ciotole – ha costituto un tassello fondamentale nel risultato finale, veramente buono, del film. D’altro lato la regista, da sempre, ha costruito nell’arco degli anni, opere con dei personaggi soprattutto femminili in cui si narrano delle vicende tormentate, ad ostacoli difficili da affrontare e risolvere. Già accadeva vent’anni fa nei suoi primi successi internazionali come La mia vita senza me (2003) oppure ne La vita segreta delle parole (2005) e ora, molto brillantemente, qui, nel presente caso, in cui Marta in primis è la protagonista. E bizzarria delle coincidenze succede che in questi giorni sia contemporaneamente nelle sale italiane anche il bel film La mia amica Eva di un altro autore della Catalogna, Cesc Gay, che narra, ma in una chiave molto diversa, la crisi di una donna nel momento di cambiare. Ma entriamo più nel dettaglio di Tre ciotole.

Al canonico settimo anno di convivenza succede quello che non si pensava o si sperava dovesse succedere: un nervoso viaggio in moto di una coppia, di ritorno dalla partecipazione ad una inaugurazione con annessa sosta ad un supermercato, si conclude a casa in un litigio apparentemente banale ma che così non è, in verità. Fazit: “Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita”. Lui, Antonio, un cuoco affermato grande amante dei supplì e con un ristorante di successo, lei Marta ,una ex campionessa di sport ora insegnante scolastica di educazione fisica, si lasciano, non sopportando più le loro rispettive nevrosi – insomma sentenzia lui: bisogna prenderci una pausa, chiude il rapporto e se ne va di casa tra l’incredulità della compagna. La separazione viene vissuta da entrambi in maniera molto differente: Marta, più introversa, forse un po’ timida e sociopatica, si chiude ancor più in se stessa, smette quasi di mangiare (in casa era ovviamente lui a preparare il cibo) e si permette qualche piccolissima vendetta/cattiveria nei confronti di Antonio, scrivendo su internet delle recensioni negative al suo ristorante. L’uomo, invece, che ha iniziato il tutto, agisce in maniera opposta, si chiude completamente nel lavoro, cerca sostegno in una sua simpatica dipendente, Silvia (Galatea Bellugi) ma non riesce a dimenticare l’ex-compagna. Le cose si complicano ulteriormente quando Marta scopre di avere una neoplasia, un male incurabile, come si legge (ma nel film accade dopo) proprio all’inizio del primo racconto del volume, intitolato “Espressione intraducibile”. Tuttavia lei anche grazie al sostegno della sorella Elisa (Silvia D’Amico), ai dialoghi surreali con una sagoma di cartone,  trovata per strada, di Jirko un immaginario artista coreano di K-pop, e alla corte discreta di un collega di scuola, riesce piano piano a governare la sua situazione difficile, a riscoprire i valori della vita e del cibo, insomma l’amore per se stessi che è anche, sempre, amore per gli altri. Le tre ciotole del titolo, ricevute in regalo proprio all’inizio del film con i punti ad un supermercato, simboleggiano come lei impari a riconoscere ciò che la nutre davvero, distinguendo il sapore della vita quando tutto va cambiando, e trovando, attraverso il dolore, un novello equilibrio interiore.

Mai melodrammatico né pesantemente letterario, le Tre ciotole di Coixet è dunque un sommesso, a tratti commovente inno alla sopravvivenza, un invito ottimista ad andare avanti malgrado le peggiori difficoltà quotidiane. Un’opera solida e convincente, abbastanza inconsueta oggi, come si accennava, nel panorama di casa nostra, che ricorda begli esempi di cinema sentito e intimistico com’è stato a suo tempo l’opera di un Mauro Bolognini oppure più di recente un Pane e Tulipani (2000) di Silvio Soldini. C’è da auguragli quindi il maggiore successo possibile al botteghino e che un tale esperimento possa avere seguito.

Inizio e fine specularmente simbolici  con degli stormi di uccelli che sorvolano Roma – attenzione a non andare via sui titoli di coda dove la voce di Elio Germano racconta una simpatica barzelletta marxiana (e non marziana).

In sala dal  9 ottobre 2025.


Tre ciotole  Regia: Isabel Coixet; sceneggiatura Enrico Audenino, Isabel Coixet, dal volume omonimo di Michela Murgia; fotografia: Guido Michelotti; montaggio: Jordi Azategui; musica: Alfonso Vilallonga; scenografia: Paola Comencini; interpreti: Alba Rohrwacher, Elio Germano, Silvia D’Amico, Galatea Bellugi, Francesco Carril, Sarita Choudhury; produzione: Massimo Di Rocco, Luigi Napoleone, Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Francesca Longardi, Marisa Fernández Armenteros, Sandra Hermida, Carlo Gavaudan, Marco Miana per Cattleya, Ruvido Produzioni, Bartlebyfilm, Buenapinta Media, Bteam Prods, Colosé Producciones, Perdición Films, Apaches Entertainment, Tres Cuencos, Vision Distribution, RTVE; origine: Italia/Spagna, 2025; durata: 122 minuti; distribuzione: Vision Distribution.

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