Un ricordo di Goffredo Fofi (1937-2025)

È scomparso oggi, 11 luglio, a Roma all’età di 88 anni il grande critico, intellettuale e polemista Goffredo Fofi, una delle personalità intellettuali italiane più rilevanti dello scorso secolo breve. Pensando di parlare a nome di tutta la redazione di Close-up e di me in particolare che ho avuto modo di conoscerlo nei decenni e di frequentarlo in diverse occasioni, siamo rimasti costernati da questa perdita che impoverisce ancor di più il panorama politico-intellettuale del nostro paese. Al posto di un necrologio, abbiamo pensato con il vicedirettore Matteo Galli di ripubblicare, quasi senza ritocchi, una recensione da lui scritta nel novembre del 2020, incentrata sul documentario che il regista Felice Pesoli aveva dedicato a Goffredo Fofi e che era stato presentato in quello stesso 2020 al Festival di Torino.
Matteo Galli ci tiene a ricordare che l’inizio della sua grande ammirazione per Goffredo Fofi risaliva all’anno 1977, allorché diciassettenne aveva acquistato e divorato il tascabile Feltrinelli “Capire con il cinema. 200 film prima e dopo il  ’68”, forse una delle più belle raccolta di recensioni mai pubblicata in Italia: “un libro assai affascinante, qua e là – in perfetto stile Fofi – profondamente irritante e fuori dal coro, che non poteva fare a meno di indurti a prendere posizione”. Ed è esattamente così che era il nostro grande intellettuale eugubino, “esagerato” – come lo ha ricordato Marco Bellocchio  – “qualche volta nel condannare  e nell’esaltare, ma anche capace di ricredersi, di cambiare idea, altra grande qualità”. Insomma ci mancherà e tanto Goffredo Fofi e noi vorremmo ricordarlo appunto con questa nostra recensione (G.Sp.)

Non sono molti i critici e gli intellettuali italiani che abbiano saputo al pari di Goffredo Fofi (classe 1937) mantenere nel corso di quasi sei decenni una così vorace vivacità e randagia mobilità. E dunque bene ha fatto Felice Pesoli a dedicargli un ricco documentario dal titolo Suole di vento. Storie di Goffredo Fofi che, nell’arco di ottanta minuti (distillato di dieci ore di materiale girato), ripercorre alcune fra le fasi più importanti e stimolanti del protagonista, che con un gradevole understatement, una contagiosa passione, e un linguaggio qua e là anche piacevolmente sboccato racconta di sé e del suo rapporto con la società, soprattutto italiana.

Attraversiamo così varie fasi e varie città nelle quali ha vissuto: dalla Palermo (e dintorni) dei tardi anni ’50 quando il giovanissimo Fofi, ammirato da Danilo Dolci, lasciò la nativa Gubbio per unirsi alla “comunità” socio-pedagogica, religiosa e sindacale del Gandhi di Partinico, alla fase romana, torinese, parigina, milanese, di nuovo torinese, napoletana, forse anche bolognese, in qualche misura sempre a stretto contatto – ma senza l’ombra di un meccanico presenzialismo – con ciò che nel paese stava avvenendo, a livello politico, sociale e culturale. Basterebbe, come Pesoli di tanto in tanto fa, inquadrare un po’ di copertine di libri e soprattutto delle molteplici riviste a cui Fofi ha partecipato, che ha fondato e diretto, e ci ritroveremmo squadernati davanti una storia politica e culturale dell’Italia che davvero pochi altri sarebbero in grado di rappresentare. E la cosa sorprendente è che rispetto a questi cinquant’anni Fofi ha sempre avuto la capacità di non risultare integrato o, detto al contrario, di sorprendere sempre, spesso di irritare.

Insomma, pur al netto di quello che si potrebbe chiamare (e che lui stesso definisce) un rigore morale, sempre e comunque perseguito – un rigore morale tuttavia non riconducibile fino in fondo a nessuna delle grandi ideologie dominanti nella Prima Repubblica -, Goffredo Fofi resta alla fine irriducibile, imprevedibile e curioso, sempre documentatissimo e, in quanto tale, molto difficile da contraddire, se non potendo vantare una documentazione altrettanto attenta e precisa che pochi, molto pochi sono in grado di garantire. La lode dello studio nelle parole finali del documentario ce lo rende, dobbiamo confessarlo, particolarmente simpatico, in opposizione soprattutto alla sensazione ingenerata dai critici odierni (di qualunque generazione essi siano) che non sussista un rapporto plausibile fra quanto parlano (scrivono) e quando davvero hanno studiato (e sanno).

Non tutto ciò che Fofi afferma in Suole di vento (il titolo è una indiretta citazione di Rimbaud, poeta che il nostro menziona direttamente indicandolo a modello ma anche il riferimento a una sezione così chiamata di una delle tante riviste dirette da Fofi) è pienamente condivisibile, né – crediamo – lui lo vorrebbe, essendo la contraddizione, il confronto fra teste pensanti uno degli aspetti che più lo interessano. Per esempio la tesi che gli esponenti migliori della generazione cresciuta politicamente e intellettualmente fra il 1967 e il 1977 siano state fagocitate dalla politica e l’arte ne abbia risentito andrebbe argomentata e necessiterebbe di una differenziazione più raffinata, basti pensare a tutto quello che avviene nel campo della performance (come, fra le altre cose, dimostra un altro documentario presentato a Torino, ovvero La rivoluzione siamo noi di Ilaria Freccia), ma anche nel campo della letteratura e del cinema, – i i due campi artistici di cui Fofi meglio s’intende in quel decennio – succedono cose molto interessanti scritte o dirette, da venti-trentenni, fra cui, giusto per restare al cinema, basti pensare ai film girati in quegli anni da Bertolucci o da Bellocchio, regista quest’ultimo, peraltro, con cui lo stesso Fofi ebbe a collaborare per la sceneggiatura di Sbatti il mostro in prima pagina (di cui però non parla in questo documentario).

Ma sono inezie rispetto al ritratto di un intellettuale fra i non moltissimi che meritano a pieno titolo di appartenere a quella che il sociologo Wolf Lepenies chiamava la “classe interpretante” e su cui un giorno, ne siamo certi, qualcuno vorrà e saprà scrivere un saggio complessivo o quanto meno una tesi di dottorato. Un’altra confessione: ci sarebbe piaciuto, non per mèro voyeurismo ma per integrare quest’immagine randagia, itinerante ma comunque sempre attiva di intellettuale, sapere qualcosa di più della vita privata di Fofi che invece nel film pare in tutto e per tutto identificarsi in quello che fa, nei luoghi dove si trova, nei libri che scrive, nelle riviste che fonda.

 

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