Un semplice incidente di Jafar Panahi

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Il cinema iraniano non smette di regalarci grandi emozioni ai festival internazionali. Soltanto un anno fa il regista Mohammad Rasulof arrivava a Cannes a presentare il suo ultimo film Il seme del fico sacro sorprendendo tutti e mandando un messaggio di speranza, dopo la sua misteriosa fuga dall’Iran. Questo avveniva mentre un altro pluripremiato regista iraniano Jafar Panahi (Taxi Teheran, Gli orsi non esistono) dopo lunghi anni di prigionia e costretto a un regime di semilibertà, ancora doveva subire il veto di girare film. Quest’anno, grazie a minimali aperture da parte del governo del suo paese, Panahi ha incredibilmente, dopo anni di divieto di lasciare il paese, presenziato alla première a Cannes di Un semplice incidente, dove ha giustamente vinto la Palma d’Oro. Un altro magistrale esempio di realismo cinematografico.

Un incidente d’auto a causa di un cane sulla strada costringe Eghbal (Ebrahim Azizi) e la sua famiglia a chiedere aiuto in un’officina. Nella penombra dell’edificio industriale vediamo lo sguardo impietrito e spaventato del meccanico Vahid (Vahid Mobasseri) al suono del passo che Eghbal, con la sua protesi alla gamba, fa quando cammina. Seguiamo l’agitato Vahid pedinare fino a casa l’auto di Eghbal e la mattina dopo colpirlo con brutalità e sequestrarlo. Da spettatori rimaniamo sorpresi e indignati dalla ferocia di Vahid e dai decisi colpi inferti all’inerte vittima. Dopotutto di lui non sappiamo (ancora) niente, mentre di Eghbal sappiamo che è un devoto padre di famiglia, per giunta in attesa del secondo figlio dalla moglie incinta. La furia di Vahid ci lascia interdetti. La mdp lo riprende nei suoi movimenti agitati e ne udiamo il respiro affannoso mentre guida il furgone fino ad un luogo deserto con l’intenzione di seppellire Eghbal vivo. Dai concitati scambi di frasi fra i due scopriamo che Vahid ha riconosciuto in Eghbal il suo crudele carceriere e torturatore e ora vuole vendicarsi del male sofferto. Ma i dubbi lo assalgono alle suppliche insistenti e alla dichiarata professione di innocenza di questo. E nonostante la rabbia, decide di chiarirne l’identità, contattando altre vittime. Fra questi la fotografa Shiva (Mariam Afshari), la giovane sposa Golrokh (Hadis Pakbaten) e l’irascibile Ahmid (Mohamad Ali Elyasmehr). L’unico problema che ostacola un affidabile riconoscimento è che nessuno di loro ha mai visto veramente in faccia il terribile carceriere. Dei loro ricordi bendati sono rimaste solo le sensazioni tattili, dei suoni e degli odori nella memoria. Questa strana comitiva, unita da un passato di atroci torture, dovrà decidere come giudicare Eghbal, e mutare quindi da vittima in carnefice.

Come in tutto il cinema poco convenzionale di Panahi gli eventi avvengono per la maggior parte in auto o per la strada, fra fitti scambi di battute e veloci dialoghi dei protagonisti, mentre i fatti sono esposti in modo essenziale, scarno e quasi con distacco. Piuttosto ‘guardati’ e osservati ad una dovuta distanza, che non veramente raccontati o interpretati. Spesso addirittura avvengono fuori dall’immagine mostrata sullo schermo, lasciando lo spettatore quantomeno interdetto. Fin dall’inizio non vediamo mai la violenza. Possiamo immaginarci il cane finito sotto l’auto dai suoi fievoli gemiti e dall’espressione di Eghbal quando esce dall’auto a controllare, o il corpo di quest’ultimo dentro il furgone di Vahid, ma la mdp ci risparmia i particolari, rimane un occhio che osserva, insensibile sia ai lamenti di Eghbal, che alla rabbia delle vittime. Alla luce del sole sono tutti umanamente uguali. Il cinema iraniano, erede del Neorealismo italiano, ha epurato fino all’osso una qualsivoglia partecipazione emotiva dell’autore e ha trasformato la messa in scena della finzione cinematografica in un attendibile ed essenziale documento di attualità. E probabilmente a questa formula si deve la decisione di Panahi, che è solito recitare una parte nei suoi film, questa volta, nonostante le vicende siano altamente autobiografiche e probabilmente ispirate alla propria esperienza personale, di limitarsi alla regia. Occhio e obiettivo si fanno una cosa sola. Tanto più quando la questione si fa morale, sull’eticità di una giusta punizione o di una giusta vendetta, se questa possa veramente esistere. Il regista come di consueto sceglie la strada più complessa e allo stesso tempo si dà anche una risposta. Ma un ulteriore dubbio nel finale aperto ci lascia nuovamente soli a rabbrividire come Vahid.

Girato senza permessi ufficiali delle autorità iraniane e con attrici che recitano a capo scoperto Un semplice incidente  segna un nuovo capitolo del già creativo cinema iraniano, ma non solo. Come dicevamo sono ancora molti i divieti e tante le personalità incarcerate per aver espresso la propria opinione. Speriamo, ma abbiamo molti dubbi, forse tanti quanti Vahid – e naturalmente vorremmo molto sbagliarci! – che quest’opera marchi veramente l’inizio di una nuova apertura culturale del regime in Iran. Ma per ora c’è, già a qualche mese dalla Primiere del film a Cannes, c’è ben poco da sperare.

Palma d’oro al Festival di Cannes 2025. 
In sala dal 6 novembre 2025.


Un semplice incidente (It Was Just an Accident/Yek tasadof-e sadeh) – Regia e sceneggiatura: Jafar Panahi; fotografia: Amin Jafari; montaggio: ; scenografia: Leila Naghdi; interpreti: Vahid Mobasseri, Mariam Afshari; Ebrahim Azizi, Hadis Pakbaten, Majid Panahi, Mohamad Ali Elyasmehr; produzione: Les Films Pelléas, Bidibul Productions, Pio & Co; origine: Iran/Francia/ Lussemburgo, 2025; durata: 105 minuti; distribuzione: Lucky Red.

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