Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson

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Lanciata sulle brucianti strade di un’America gentrificata ed isolata, la guerra portata avanti dai personaggi di Una battaglia dopo l’altra aderisce oggi con la situazione sociopolitica dell’amministrazione trumpiana, in cui il dissenso, anche solo semplicemente quello verbale e intellettuale, vuole essere controllato, represso, silenziato, utilizzando strumentalmente eventi e circostanze (si veda il recente assassinio del propagandista MAGA Charlie Kirk). Ispirandosi molto liberamente al romanzo Vineland di Thomas Pynchon, Paul Thomas Anderson racconta invece le gesta e la deflagrazione di un gruppo di attivisti e rivoluzionari che agiscono in un imprecisato tempo dove sembrano stratificarsi le tensioni di oltre un trentennio di storia americana, dai movimenti legati alla scena di Seattle degli anni ’90 fino alle conseguenze segregazioniste e discriminatorie della paranoia xenofoba post 11 settembre, alle quali si collega la deriva esplicitamente illiberale, sul piano dei diritti civili in particolar modo, del governo statunitense attualmente al potere. Il volto, il corpo e la voce primari della rivolta sono incarnati da Perfidia, una donna afroamericana che trasuda rabbia e sensualità, orgoglio e passione da ogni gesto e ogni parola. Nel progredire della coralità del racconto, rispettando la struttura a più prospettive dell’opera di Pynchon, la sua figura, che a un certo punto, dopo essere stata arrestata, spinta alla delazione e poi evasa dal programma di protezione testimoni, viene dileguata nei margini della sua potente fisicità in quella di un ricordo/rimpianto fantasmatico e mitizzato.

La traccia che lascia sui processi di memoria e di rimozione è indelebile: sul (riluttante) compagno d’amore e di lotta Bob, giudicato inadeguato dalla genealogia di guerrigliere black panthers che circonda Perfidia, il quale sceglie di raccontare alla figlia che la madre è stata un’ eroina uccisa mentre combatteva in prima linea il sistema conservatore e neocapitalista; ma anche sul colonnello Lockjaw, che Perfidia ha irretito durante un’azione in un campo profughi, tanto da diventarne prima l’amante sotto ricatto e poi l’ossessione, la nemesi, la prova del tradimento interrazziale agli occhi del suprematismo bianco .Già questo triangolo (s)composto, al quale si aggiunge più tardi la figlia Wilma sulla cui attribuzione della paternità si gioca il filo del paradosso identitario, risponde a un assunto ricorrente nel cinema di Anderson: tutte le strutture di potere, di prevaricazione eterodiretta e di manipolazione sociale e politica passano attraverso il canale ambiguo delle relazioni primarie e viscerali. Storie d’amore fra padri, madri, figli, fratelli e sorelle, adulti repressi e adolescenti espansi, in collisione con la cappa di organizzazioni, norme, leggi e codici. A far saltare per aria ogni schema e ogni piano è l’imprevedibilità del fattore umano, come i ripensamenti e i sensi di colpa di una vedova che riconosce di essere stata moglie solo per avidità e un figlio che travalica il limite tra l’odio e l’amore, mischiandone le carte del senso e dell’intensità, sul letto del padre morente (Magnolia); o un rapporto di coercizione psicologica e di fanatismo che cela il reciproco bisogno di calore e di tenerezza tra idolatrante e idolatrato in The Master. Alla stessa stregua Bob e Lockjaw si muovono spinti dall’attrazione verso il punto cardinale dell’assenza di Pefidia, da colmare con la presenza di Wilma, sulla quale entrambi impongono una forma di controllo, seppur con prospettive e motivazioni diverse. Per Bob significa preservare ciò che resta di sentimentalmente significativo e permanente in un’esistenza fatta di paranoia, precarietà e abbandono, per il colonnello estirpare la manifestazione vivente del suo tradimento, dover averne saggiato la tempra e l’eccitazione dello scontro e del predominio. La messa in scena rutilante, spettacolare, dinamica come mai si è vista in Anderson, con un uso massiccio del montaggio parallelo e dei cambi prospettici di soggettiva, segue da un certo punto in poi,  ovvero da quando Perfidia scompare, questa duplice linea che si dirama tra i cunicoli, i tetti e gli avvallamenti di uno scenario paesaggistico ripreso anch’esso sulla linea di demarcazione  tra l’ordine e l’anarchia,  tra la lindezza mortifera a vetrate da grattacielo della civiltà bianca  e l’ibridazione sacra e profana (convento e lotta armata) delle culture di confine ( dal punto di vista etnico, socioeconomico, sessuale).

Questa escursione cosi dichiaratamente politica non esclude la compresenza di un tono quasi da slapstick comedy delle opere più stralunate di Anderson (basti citare lo stesso Vizio di forma, tratto sempre da Pynchon) con il motore dell’azione che torna in capo alla tridimensionalità analogica dei corpi; non solo di quello tangibile, carnale ed erotico di Perfidia, con le sembianze sinuose e la faccia impressionante di Teyana Taylor, ma anche nelle pose e negli atteggiamenti di Leonardo DiCaprio (Bob) e Sean Penn (Lockjaw): le movenze “morbide”, goffe e scoordinate del primo contro quelle rigide fino ai limiti della mummificazione del secondo costituiscono la sostanza in collisione dello sguardo, del loro provocarsi, sfiorarsi e (all’ultimo) evitarsi in continuazione. La sequenza dell’attraversamento delle dune desertiche da parte di una serie di automobili che vanno e vengono (Bob, Wilma, Lockjaw, il killer ingaggiato dai suprematismi bianchi) offre lo spessore di questo continuo slittamento. E l’introduzione della soggettiva di Bob alla guida di una macchina ( peraltro un ulteriore intreccio è innescato dal continuo scambio e passaggio tra un automobile e l’altra di tutti i personaggi), non serve ad orientarsi ma, al contrario, provoca ancora di più vertigine e spiazzamento. L’ ironia feroce, in questo senso, nonostante l’acclarata empatia e simpatia di Anderson per il gruppo di rivoluzionarie e rivoluzionari (incluso lo strepitoso Benicio Del Toro che fa un maestro di judo protettore della propria comunità di immigrati sudamericani), non risparmia nessuno: lo spaesamento fisico e percettivo performato da DiCaprio inizia con il fatto di non ricordarsi più  le frasi in codice utilizzate dall’organizzazione rivoluzionaria per proteggere gli spostamenti da un presidio all’altro. Le sue parossistiche reazioni alle formalità quasi burocratiche dell’anonimo compagno guerrigliero dall’altra parte del telefono, che si comporta veramente come un impiegato statale attaccato alla procedura di turno, riportano a una questione centrale per Anderson, di come e quanto qualsiasi forma di comunicazione sia esprimibile solo attraverso il legame relazionale, esperienziale, mnemonico. Ed infatti le varie collisioni e i disallineamenti spazio temporali vengono risistemati non dal ricordo di una qualche dadaista parola d’ordine, ma dal riconoscimento di una voce e di un contatto, quello tra Wilma e Bob, che spezza qualsiasi convenzione e dato (persino la prova della paternità biologica), e, infine, quello tra Wilma e Perfidia che non avviene per un’apparizione ad effetto e non si limita all’immagine sfocata rubata da una videocamera di sorveglianza in qualche parte del mondo. Il primato del racconto autobiografico sull’iperbole spettacolare è ristabilito da una lettera nella quale la donna madre ricostruisce con la donna figlia i fili di un passato di concretissime utopie arenato nel sangue di un omicidio, un tradimento e una fuga, meditato nel tempo di una sospensione, proiettato nel futuro del prossimo abbraccio da ritrovare e nella nuova rivoluzione da provocare; seguendo il sempiterno richiamo brechtiano, non travisato come monito paternalista ma trasposto in uno spirito di sorellanza e di pratica: Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere.

In sala dal 25 settembre 2025.


Una battaglia dopo l’altra (One Battle After Another) – Regia e sceneggiatura: Paul Thomas Anderson (dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon); fotografia: Michael Bauman, Paul Thomas Anderson; montaggio: Andy Jurgensen; musiche: Johnny Greenwood; interpreti: Leonardo DiCaprio, Sean Penn, Teyana Taylor, Benicio Del Toro, Regina Hall, Chase Infiniti, Alana Haim; produzione: Warner Bros. Pictures, Ghoulardi Film Company; origine: USA, 2025; durata: 162 minuti; distribuzione: Warner Bros.

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