Una notte a New York di Christy Hall


Non so se qualcuno abbia già indagato a livello accademico le caratteristiche tipologiche dei film prevalentemente o esclusivamente ambientati nei taxi, a ciascuno di noi ne verranno in mente diversi, che siano Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese, Night on Earth (1991) di Jim Jarmusch o Taxi Teheran (2015) di Jafar Panahi fino a Il tassinaro (1983) diretto e interpretato da Alberto Sordi.

Non conosco letteratura al riguardo e mi limito, impressionisticamente a segnalare aspetti che considero dominanti, uno di natura formale e uno di natura contenutistica. Parto con quello di natura formale che dunque riguarda chi dirige, di chi fotografa e di chi monta il film: il taxi costituisce a tutti gli effetti un self constraint, una sorta di autolimitazione apparentemente castrante ma in realtà oltremodo sfidante del regista o della regista che deve muoversi all’interno di uno spazio angusto, cercando di produrre sul piano delle inquadrature, dell’uso delle luci, dei tagli di montaggio etc. quella varietà che lo spazio limitato, oggettivamente, impedisce. Sul piano dei contenuti: esistono due tipi di film girati in taxi, quelli che mirano a fare del taxi un luogo dove sfila un variegato campionario di umanità (film in taxi come specimen antropologico) e un altro tipo in cui i personaggi restano sempre gli stessi, il tassista, appunto, e il passeggero/la passeggera (film in taxi come specimen psicologico). In questa seconda eventualità il regista finisce per  trasformare il set (in senso cinematografico) in un momentaneo, episodico e alla fine non vincolante setting, nell’accezione psicanalitica del termine, anche se poi della psicoanalisi propriamente detta, com’è ovvio, manca a questo setting una delle caratteristiche salienti, ovvero la continuità delle sedute. In altre parole: il viaggio in taxi può promuovere una confidenza anche profondissima fra due persone, tanto più facile quanto più i due “attori” sono consapevoli del fatto che, qualunque cosa si confessino, è altissima la possibilità che non si rivedano mai più e che, dunque, anche la eventuale vergogna derivante da una confessione eccessiva e, almeno in parte, non davvero voluta, finirà ben presto per dissolversi.

È a questa seconda tipologia di film (a differenza del film di Panahi o di quello di Sordi) che risponde Una notte a New York, il film di esordio di Christy Hall  (cfr. la nostra intervista) che cura regia e sceneggiatura (settore nel quale fin qui aveva operato). Il titolo italiano, come spesso accade, confonde le prospettive perché New York praticamente non la si vede, visto che quasi tutto il film si svolge sul raccordo autostradale che collega l’aeroporto JFK con Manhattan, ma a causa di un incidente per buona parte del film il taxi è fermo in attesa che intervengano i mezzi di soccorso a sgombrare le corsie. L’incidente e la sosta sono l’espediente drammaturgico che favorisce l’avvicinamento (e le numerose confessioni) fra il tassista interpretato con la consueta bravura da Sean Penn e la cliente interpretata dall’altrettanto brava Dakota Johnson, talché tempo della storia e tempo del racconto finiscono di fatto per coincidere.

Sarà la differenza di età fra i due, ma i ruoli finiscono ben presto per essere assegnati, in quello che prima si è definito un setting di stampo psicanalitico: la ragazza è la paziente, il tassista è il terapeuta, con tanto – quanto meno a livello di accenno o di potenzialità – di transfert e controtransfert. Non starò a raccontare che cosa veniamo a sapere dalla bocca di lei, e almeno in parte, anche dalla bocca di lui, mi limito a segnalare il titolo originale che  è Daddio, variante slang di daddy, ovvero papà.

Forse il difetto principale di questo film è da rintracciarsi nella tendenza alla lunga un po’ fastidiosa del personaggio interpretato da Penn di lasciarsi andare a quell’atteggiamento che da un po’ di tempo si è soliti chiamare mansplaining (crasi di “man”, uomo e “explaining”, spiegare), ovvero la spesso fastidiosa tendenza dei maschi a saperne sempre di più delle donne con cui interagiscono, anche in campi in cui ciò non è vero, e forse neanche plausibile. Questa attribuzione di genere, d’altro canto, si deve a una regista e sceneggiatrice donna, magari un po’ troppo incline, a sua volta, a una certa qual semplificazione. Ciò detto il film è, nell’insieme, scritto bene. Del resto, senza una buona sceneggiatura un film rinchiuso dentro un taxi si farebbe fatica a guardarlo fino in fondo.

In sala dal 19 dicembre 2024.


Una notte a New York (Daddio)  – regia, sceneggiatura: Christy Hall; fotografia: Phedon Papamichael; montaggio: Lisa Zeno Churgin; interpreti: Dakota Johnson (la ragazza), Sean Penn (il tassista Clark); produzione: Hercules Film Dund, Tea Time Picutres, Raindrop Valley, Projected Picture Works, Rhea Films; origine: USA 2023; durata: 101 minuti;  distribuzione: Lucky Red, Leone Film Group

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