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Voto
Festival di Cannes. È il momento dell’annuncio della Palma d’Oro. In platea Carlo Verdone. Evidentemente teso, chiude gli occhi nella speranza che venga pronunciato il titolo del suo film. Incrocio di ombre è l’opera vincitrice, il regista romano si alza e sale sul palco per ricevere il premio. Sullo sfondo, tre schermi con altrettante foto di un Verdone soddisfatto e trionfante, in platea centinaia di sagome di cartone con il suo volto occupano tutti i posti in sala. Un breve discorso e poi il padrino della cerimonia, uscendo dall’atmosfera ufficiale e internazionale del momento, con puro accento romano, gli chiede un selfie.
Con questo felice prologo onirico prende il via Vita da Carlo, il prodotto targato Filmauro e Amazon che segna l’esordio di Carlo Verdone nel nuovo universo della serialità streaming. Un prologo illuminante e spiazzante, che in qualche modo richiama l’iconografia di Essere John Malkovich e che così segna chiaramente il percorso su cui il racconto andrà a svilupparsi.
Vita da Carlo è infatti una totale immersione nel “mondo Verdone”, un viaggio divertito ma malinconico, frenetico ma riflessivo nel suo cinema, nel suo immaginario, nel suo quotidiano. L’attore e regista romano lascia da parte ogni genere di maschera, ogni tipo di filtro, e si mette in gioco, totalmente. Si dona allo spettatore nella sua verità, apre le porte della sua vita, romanzandola ovviamente, ma senza mai discostarsene troppo.
Nei suoi dieci episodi di mezzora l’uno, la serie si sviluppa e si presenta come un ironico percorso di autoanalisi, come un autoritratto sincero. Verdone riflette sulla sua carriera, su quello che è stato, su quello che non è stato e che poteva essere, sui suoi sogni. Scherza sulle sue fragilità, mette in scena le sue dinamiche familiari, racconta il suo amore per Roma.
Ed è proprio la Città Eterna la cornice e per certi versi anche il motore della narrazione. Una Roma che ha perso la sua genuinità, la sua anima, i suoi antichi valori. Una città ormai slegata dal suo passato e indecisa sulla strada da intraprendere per il futuro. Una Roma orfana della vera romanità, dove non ci sono più neanche le tracce della sua saggezza popolare, quella della Sora Lella, di Mario Brega, dove la tipica spontaneità della sua cultura è stata sostituita dall’omologazione dei social, dalla necessità di scrivere un commento in difesa del “Capitano” o di postare un selfie con Verdone.
Sì, proprio l’interprete di Mimmo e di Ivano, di Furio e di Oscar Pettinari, il mito di tutti, che viene addirittura scelto dalla sinistra locale come candidato sindaco. Ma non siamo più ai tempi di Armando Feroci e di “sto fiume ce serve o nun ce serve”, Verdone non è più l’interprete deformante della degenerazione sociale, ma è se stesso. E quindi l’impegno lo prende seriamente, con tanta insicurezza, con tanti dubbi, con difficili rapporti affettivi da gestire, con i sentimenti che prova per la sua amica farmacista, con il desiderio – finalmente – di realizzare un film d’autore.
Lo vediamo così su una strada incerta, confusa, divisa tra una nuova possibile carriera – quella politica –, la famiglia, la titubanza nel rimettersi in gioco sentimentalmente e un inedito percorso artistico, lontano dalla comicità a cui ci ha sempre abituato. Ecco dunque Carlo lottare con il marcio dei partiti, fare i conti con i problemi dei figli, dichiararsi alla sua amata, cercare di convincere il suo produttore (il richiamo a De Laurentiis sembra chiaro) a finanziare la sua prima opera drammatica, nonostante l’insistenza di tornare ai personaggi,
Tanti elementi, tante emozioni, diverse sfaccettature esistenziali, che se mettono in crisi il personaggio Verdone protagonista della serie, non sembrano creare alcuna difficoltà al Verdone autore, che coadiuvato alla sceneggiatura da Nicola Guaglianone, Menotti, Paquale Plastino, e alla regia da Arnaldo Catinari, gestisce alla perfezione una materia narrativa così piena e variegata, con felice disincanto e la giusta dose di malinconia, nel pieno del suo stile.
La serie è spassosa, dalla prima all’ultima puntata; regala sprazzi di sincera tenerezza e momenti comici riuscitissimi, in alcuni casi anche un po’ “scorretti” (vedi l’episodio con la donna malata terminale); regge solidamente l’infinità di personaggi che compongono la coralità del suo racconto.
Come nei suoi tempi migliori, Verdone si dimostra grande direttore d’orchestra: gestisce con sapienza le esilaranti intromissioni dell’amico Max Tortora, riesce ad incastonare a meraviglia nella narrazione i camei presenti nei vari episodi (da Roberto D’Agostino a Massimo Ferrero, da Morgan a Rocco Papaleo), dirige con mano ferma i giovani del cast (dai “figli” Caterina De Angelis e Filippo Contri, alla scoperta Antonio Bannò, vera perla della serie).
In Vita da Carlo, l’immaginario verdoniano c’è tutto. Da Borotalco a Viaggi di nozze, passando per Troppo forte e Compagni di scuola, l’autore cita molti dei suoi personaggi e i suoi film più celebri, ma non per vuote finalità autoreferenziali. La sua carriera cinematografica viene qui spesso ironicamente richiamata, per proporre un riflessivo gioco metacinematografico, che poi non è altro che il mezzo per mettere in scena sul piccolo schermo la definitiva sintesi del suo percorso autoanalitico.
Un percorso, sinora condotto attraverso personaggi alter-ego, che qui finalmente include anche la sua sfera artistico-professionale. Così Verdone omaggia il cinema italiano che in parte l’ha segnato – citando ad esempio Un americano a Roma (1954) di Steno , con la scena del potenziale suicida che vuole gettarsi dal Colosseo, interpretato da Paolo Calabresi –, ricorda i suoi inizi all’Alberichino nella divertente e poetica sequenza notturna con Alessandro Haber, osserva con dolcezza uno spettacolo di burattini per bambini richiamando malinconicamente la sua formazione giovanile.
Vita da Carlo convince, diverte, dona leggerezza e ci restituisce un autore/attore che non ha perso la sua voglia di sperimentare, che non ha smarrito il coraggio e il furore della scoperta. Un Verdone 3.0 che, pur raccontando esplicitamente se stesso, continua comunque a fotografare il presente e a parlare di tutti noi.
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