Vogter (Sons) di Gustav Möller (Festival di Berlino – Concorso)

  • Voto
3.5

Nato a Göteborg, in Svezia, ma di fatto socializzato in Danimarca, dove ha studiato, il regista trentaseienne Gustav Möller si era segnalato con il suo film di esordio un eccellente thriller claustrofobico dal titolo Il colpevole- The Guilty (2018) che era stato distribuito anche in Italia l’anno successivo. Adesso, a Berlino, presenta il suo secondo film che mi pare configuri un interesse per il medesimo genere e, aggiungerei, per le medesime modalità che, di nuovo, non esiterei a definire claustrofobiche.

Se il primo film si svolgeva tutto nel centralino dove un poliziotto in attesa di giudizio sovrintendeva, senza poter intervenire di persona, a un tentativo di salvataggio di una donna minacciata dal marito, questo secondo film si svolge in un carcere, dal quale si esce solo verso la fine. A Berlino lo hanno presentato con il titolo internazionale Sons, ovvero figli, un titolo po’ troppo esplicito che per un thriller non va affatto bene, mentre il titolo originale è Vogter, ovvero guardiano se vogliamo più esplicitamente: secondino. In questo caso, in realtà: guardiana o secondina. Ché la protagonista è Eva (nomen omen?), la guardiana di un carcere di cui non sappiamo la collocazione, che ci viene presentata all’inizio come una persona tranquilla, serena, amata dai detenuti e a cui lei non nega mai un saluto cordiale e un sorriso. L’interprete è Sidse Babett Knudsen, attrice celeberrima in Danimarca dove le sono stati conferiti numerosi premi cinematografici e televisivi.

 

Quest’idillio dura tuttavia pochissimo, qualche minuto soltanto, perché ben presto nel carcere, destinato alla sezione di massima sicurezza, arriva un giovanotto alto, biondo, tatuato e muscoloso che Eva (e la macchina da presa) individuano subito, dal momento in cui scende dal cellulare che lo condurrà in carcere. Il turbamento è immediato. Möller gioca un po’ a nascondino, ci mette alcuni minuti a dirci perché, ma lo spettatore, malgrado il silenzio di Eva (assai più brava ad agire che a parlare), capisce abbastanza presto chi sia costui e perché a Eva interessi tanto, al punto da chiedere il trasferimento nel reparto di massima sicurezza, dove stanno quelli che, secondo le parole di Rami (Dar Salim) il caporeparto, non hanno nessuna possibilità di essere risocializzati perché incanagliti, imprevedibili, violenti etc. Mikkel, così si chiama, il neo-arrivato, sembra in tutto e per tutto rispondere a questo identikit. Ma Eva vuole stargli vicino, molto vicino. Volendo discutere sulla plausibilità realistica di questo film: questo punto non convince del tutto. I dirigenti del carcere sanno chi è Eva, conoscono il suo passato, e dovrebbero procedere di conseguenza. Ma lasciamo perdere.

Come prevede il suo nome di battesimo, Eva, non paga della notevole punizione inflitta al detenuto (ha ucciso a botte e a coltellate un suo vicino di cella e gli hanno dato sedici anni di carcere, non esattamente una passeggiata)  è fortemente tentata di lasciarsi andare a una vendetta personale, rendendo il soggiorno di Mikkel in galera, attraverso una serie di espedienti oltremodo sadici, ancora più tremendo. Qui, in questa prima parte, incentrata sulla domanda (fin dove si spingerà Eva, fin quando resisterà Mikkel?), la tensione è fortissima, c’è poco da fare Möller nel genere thriller si muove a meraviglia, si resta incatenati alla poltrona. Raggiunto l’acme della prima parte, che ovviamente non dirò, si passa alla seconda, non meno tensiva, in cui i due personaggi si avvicinano, prendono a dialogare etc.

Ma, capite bene, che anche qui non è possibile dire nulla, perché lo spoiler sarebbe dietro l’angolo etc. Scrivendone ci si rende conto: 1) di quanto sia difficile recensire un thriller, e 2) quanto poco spesso è dato trovarsi di fronte a questa difficoltà, a dimostrazione che di thriller in giro se ne vedono davvero pochi, se ne vedono sempre meno. Ben venga questo, dunque, in decisa controtendenza con il panorama cinematografico mondiale.

Come in Il colpevole- The Guilty,  Möller sa benissimo come muoversi con la macchina da presa all’interno di spazi chiusi, di spazi stretti. Come se non bastasse: grate, recinzioni, finestre etc. vanno a rendere ancor più oppressiva la condizione del detenuto, ma in fin dei conti anche della secondina. A tratti non si capisce chi dei due sia il più oppresso e infatti la seconda parte presenta delle inversioni di ruoli decisamente originali.

A differenza di Il colpevole- The Guilty manca in Vogter qualsivoglia ambizione morale, questo film non rischia mai di diventare un apologo, una riflessione che so io sulla colpa, sul male assoluto, sulla vendetta etc. E va bene così.

Uscirà anche in Italia con Movies Inspired 


Vogter  – Regia: Gustav Möller; sceneggiatura: Gustav Möller, Emil Nygaard Albertsen; fotografia: Jasper J. Spanning; montaggio: Rasmus Stensgaard Madsen; interpreti: Sidse Babett Knudsen (Eva), Sebastian Bull (Mikkel), Dar Salim (Rami); produzione: Nordisk Film Production; origine: Danimarca, Svezia 2024; durata: 100 minuti.

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