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Voto
La Blumhouse Productions è una casa di produzione americana, fondata nel 2000 da Jason Blum e specializzata nella produzione di film horror. Tra i più famosi, le saghe di Paranormal Activity (2009-2015), di Insidious (2011-2023), de La notte del giudizio (2013-2021), di Sinister (2012-2015) e di Ouija (2014-2016). Personalmente ho apprezzato molto anche Black Phone (Scott Derrickson, 2022), ma, in generale, questa giovane casa di produzione ha realizzato tanti buoni film, se non alcuni capolavori di genere.
Questo Wolf Man è l’ultimo loro prodotto, diretto da Leigh Whannell alla sua quarta regia per il cinema, dopo aver lavorato come attore e, con successo, come sceneggiatore, ad esempio, della saga di Saw (2004-2021). Blumhouse, Whannel, quindi, vediamo. Il film che ne è uscito fuori è in realtà un dramma con alcune scene di sangue e la presenza soprannaturale, da horror, dei licantropi. Ma questi ultimi non mettono paura, anzi, per lo svolgimento psicologico della storia, suscitano compassione e pietà rendendo il film sempre più drammatico.

In scena c’è solo una piccola famiglia, composta dal padre Blake (Christopher Abbott), la madre Charlotte (Julia Garner) e la figlia Ginger (Matilda Firth), che decide di trascorrere un po’ di tempo nella casa del nonno, deceduto da poco, in mezzo a paesaggi bellissimi quanto pericolosi, per la presenza di animali capaci di avvicinarsi a case isolate come la loro. Tanto che non riescono nemmeno a arrivarci, alla casa, che uno di questi animali attacca il loro furgoncino, costringendoli a abbandonarlo e a correre verso la casa, in testa Blake, già morso al braccio destro da quello che si sospetta subito non essere solo un animale, manifestandosi all’improvviso su due gambe. La famiglia si serra in casa, ma il pericolo è proprio lì dentro, perché Blake si sta ammalando, sta in realtà diventando un uomo lupo, ma la moglie e la piccola Ginger non accettano la sua trasformazione o, meglio, la sua malattia, perché vogliono lui troppo bene.
Due riferimenti per tutti, La mosca (David Cronenberg, 1986) e lo stesso Saw-L’enigmista (James Wan, 2004) sceneggiato dallo stesso Whannel: il primo di questi due classici ispira nella decadenza del corpo, nel suo disfacimento, nella sua vulnerabilità che si trasforma in qualcosa di diverso, istintivo e potente; là la mosca qui il lupo. Il secondo film è direttamente citato e allo stesso tempo sviluppato in una sequenza originale e inaspettata, con il licantropo all’inseguimento di quella che era la sua famiglia. La maledizione non ha un perché, non ha una origine certa, e la famiglia che ne subisce le conseguenze non ha nessuna colpa, se non quella di un precedente rapporto complicato padre figlio. Blake adora sua figlia e è ricambiato, come testimonia la scena migliore del film, in cui la piccola cerca di calmare il padre, con amore e coraggio. E anche la madre ama i suoi cari. Così il male non ha una spiegazione, si perpetua nel tempo, con l’unico scopo, forse, di fortificare chi attacca.
Wolf Man ci è sembrato un buon film, intimo e intelligente, e testimonia l’arte di sceneggiatura del suo regista, di cui si può amato, appunto, i rapporti tra i protagonisti più che le accademiche fughe dai licantropi. Un film drammatico che lascia pensare, e che per questo si situa al di sopra della consueta media degli horror Blumhouse.
In sala dal 15 gennaio 2025.
Wolf Man – Regia: Leigh Whannell; sceneggiatura: Leigh Whannell, Lauren Schuker Blum; Corbett Tuck, Rebecca Angelo; fotografia: Stefan Duscio; montaggio: Andy Canny; musica: Benjamin Wallfisch; effetti speciali: Karl Chisholm interpreti: Christopher Abbott, Julia Garner, Matilda Firth, Sam Jaeger; produzione: Blumhouse Productions; origine: USA, 2025; durata: 103 minuti; distribuzione: Universal Pictures.
