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Voto
C’è un senso di progressivo svuotamento e silenziosa, permanente pienezza nel film di Mario Balsamo In ultimo, ambientato tra le stanze, i corridoi e il contrappunto dei paesaggi di un hospice torinese, dal quale è imprescindibile non tenere in considerazione la preposizione che anticipa il sostantivo terminale: non si tratta di un’ affermazione perentoria, definitiva, immutabile, bensì di un passaggio e di una transizione; il movimento, magari millimetrico, compiuto da un gesto appartenente alla trasparenza e riflettente un perduto splendore, verso una condizione quantomeno sconosciuta, dove ormai quel mistero non crea più paura o sgomento, ma solo attesa.

Terzo capitolo di una non formalizzata trilogia sulla malattia, l’ invecchiamento e la morte, incorpora e disinnesca fino all’ osso i tratti salienti, la dimensione processuale ed elaborativa, il segno poetico e caldo dei due film precedenti, Noi non siamo come James Bond e Mia madre fa l’ attrice; in quei casi il respiro dell’ on the road nello scavo di un un immaginario cinematografico e psicanalitico attraversava in apnea il mare amniotico di un ventre a circuito chiuso, per trovare l’ emersione in un abbraccio ritrovato, con Guido, l’ amico della vita e della malattia, e in uno rimandato, con Silvana, la madre o l’ attrice madre sottratta al close up del congedo (che ci piace immaginarci come quello della morente matriarca Lilian Gish, momento intensissimo in un’ opera altrimenti amena e dissacrante come Un matrimonio di Robert Altman).
Ma l’ intensità e la densità di Mario Balsamo hanno una misura focale diversa perché, comunque, sono generate dal contatto con la realtà di corpi e volti che si stanno consumando e spegnendo in questa vita. Non c’è una sola immagine di In ultimo che si avvicini troppo ai visi e agli occhi scavati ed emaciati degli ospiti della struttura ariosa e luminosa – ad indicarne il contraltare della funzione di limbo terreno – nella quale transitano, pur nella staticità dello stare allettati o su una sedia a rotelle. Dopo aver filmato la cicatrice della propria gamba operata di tumore e averla addirittura fatta toccare alla madre, come la protesi di un varco uterino dal quale entrambi tentano di rigenerare il loro rapporto, per Balsamo non è più il tempo di mostrare la carne lacerata/divorata dalla malattia ( alla quale si associa ineluttabilmente e inevitabilmente l’invecchiamento).
Queste persone paralizzate, bloccate, allontanate dal fluire delle cose, pur essendo in procinto di entrare nel ciclo naturale di ciò che finisce e che diventa altro – che sia trascendenza animistica e fideistica o materia che deperisce e si rigenera – hanno bisogno di ascolto e sguardo; due sensibilità, pratiche, attitudini messe in atto in risonanza e quasi ad unisono . Lo sguardo di Balsamo è così profondamente in sintonia con l’ascolto attivo che l’ equipe di medici pone nei confronti dei pazienti accompagnati non solo e non tanto con l’intervento sul sintomo del dolore. E non c’è neanche la retorica passatista o vittimista rispetto a ciò che è stato o che poteva essere, alla privazione subita e sofferta. Quello che esce, in un accesso dignitoso e legittimo al proprio sentire, non è la rabbia o la recriminazione ma una rassegnazione che assomiglia molto ad una forma di serenità, per quanto contingente e necessaria; un afflato, uno spirare/ spiraglio, stemperato dalla costante perdita delle forze vitali, nella malinconia del desiderio di ritrovarsi, nel tempo del dopo, in un luogo del prima conosciuto e dove si è stati bene, insieme alle persone che si amano.

Ancora una volta non c’è lirismo o struggimento, perché i sensi -il gusto, il tatto e la vista – sono ancora là integri e attivi, seppur rallentati. Mangiare un pezzo di cioccolata, non quella lasciata scoperta a prendere polvere su un vassoio ma rivendicata nella sua integrità e flagranza, diventa così un atto di attaccamento, residuale eppure gaudente, a quel che resta della propria corporeità.
Raramente un film documentario o di finzione ha rasentato il confine tra tangibile e impalpabile in maniera più immersiva e lucida, nel dentro e nel fuori di uno stare qui e altrove. La durata delle inquadrature è esplicata in medias res perché la congiunzione tra il pre e il post di ogni personaggio, ogni spazio/stanza, ogni situazione è un intermittenza silenziosa, un fuori campo messo in scena che preannuncia come il proseguimento potrebbe essere l’ interruzione di quell’esistenza della quale siamo riusciti a cogliere gli scampoli di una storia. Se invece ci troviamo già in un mondo di quasi spettri sollecitati a una reazione strenuamente vitale, in una declinazione mnemonica o sentimentale che sia, dagli impulsi dei dottori ( la presenza e competenza dei quali si pongono in una dimensione precipuamente relazionale) l’altrove si rivela a portata di sguardo, e viene fatto l’ inesplicabile dono di assistere all’ appendice della sua manifestazione visibile.
Il fuoco centrale della visione e dell’ udibilità di quelle ancora vite è allora il medico che si aggira per le camere e che riceve e restituisce, nella condivisione di un’ intimità che oramai è concessa e sbloccata; il suono di un flauto che quel paziente non può più suonare e che risuona nell’ immagine di un pianoforte suonato da chi lo sto accompagnando e assistendo nell’ arco del breve tempo che gli rimane. Balsamo regala questa immagine e riempie per un attimo l’oblio al quale era destinato anche semplicemente il sentore di un’esperienza talmente espressiva da essere portata e raccontata fin dentro al letto della propria dipartita.
La riflessione e il riflesso sul paesaggio naturale, amplificati dalle vetrate e dalle finestre dei locali dell’ hospice, a parte la rituale valenza contemplativa, si svincolano dai caratteri della consolazione, seppur amara. La terra circostante viene laicamente piantata e coltivata, non è lasciata indifferentemente agli eventi e al caso. E a tal proposito sono i medici a occuparsi dell’ attività di giardinaggio, nel significato simbolico del quale iscrivono e impiantano la continua fioritura di una predisposizione per la cura e l’accudimento, che garantisce loro la sopravvivenza e insieme la sopportazione in un susseguirsi di incontri e perdite, di accoglienze e separazioni.
L’elemento naturale può essere però anche raggelante e ineluttabile controcanto che, come le piante mosse dal vento desertico e arido in No home movie di Chantal Ackermann (dove la regista belga filmava la conversazione/congedo dalla madre, acquisendone oltretutto la testimonianza di deportata in un campo di concentramento ), espone e prepara alla fragilità propria e altrui. E non è dovuto ricorrere a chissà quale insistenza e permanenza per catturarne e ricostruirne il processo. Balsamo lascia attirare la mdp, ad esempio, da alcune donne che si guardano intorno smarrite, inermi, impregnante di una tenerezza disarmante.
Un microcosmo dai giorni contati a cui si concede l’infinito istante di un dettaglio di vanità, come il colorarsi di rossetto le labbra dentro uno scenario dalla tavolozza sbiadita e desaturata. Senza dimenticare o lasciare andare l’impazzimento di uno status privo di confini o certezze (cosa vuol dire esattamente che è rimasto un mese da vivere?), incarnato dalla figura del paziente meno quieto, collaborativo, in fuga perenne dalla diagnosi /condanna. Un paziente che esce fuori di scena rivendicando, lui sì, la non voglia di morire (e di non volersi trattenere nell’ inquadratura di un film che parla di persone che stanno per morire).
Ecco, è probabilmente il suo moto di ribellione e di stizza a ricordarci che Mario Balsamo sta filmando la morte al lavoro e la profonda, cocente, sotterranea pulsione alla vita che,in ultimo, ne consente lo svolgimento o ne oppone il rantolo di una non tracotante fierezza.
In ultimo – Regia e sceneggiatura: Mario Balsamo; fotografia: Sabina Bologna; montaggio: Gabriele Marroni; produzione: Alessandro Borrelli, Eliane Ferriera per La Sarraz Pictures e Muraiquita Films; origine: Italia, 2024; durata: 80 minuti.

Complimenti vivissimi, mi sono commossa tantissimo ripensando a mia nonna, che per me era anche una mamma e ci ha lasciati nel 2021…..
Queste scene sono toccanti e toccano il cuore… 💔
Un bel messaggio di sensibilizzazione alle Famiglie che molto spesso, purtroppo, non comprendono l’ importanza di ciò che realmente serve agli anziani e cioè ascolto, affetto, amore e presenza.
Complimenti al Regista Mario Balsamo e complimenti a coloro hanno collaborato a questo grande successo, di una triste realtà
da accogliere in ” Ultimo ” con serenità……🙏anche se, non si è mai pronti a lasciar andare le persone che amiamo…….
( illudendomi che esista un mondo migliore ).
Le riprese presso il San Luigi di Pianezza, mi rendono ancora più sensibile ai ricordi, essendo io residente in bassa Val di Susa.
Complimenti anche a un mio carissimo amico che ha lavorato a questo successo, il fonico Alessio Fornasiero.
Congratulazioni a tutti voi e grazie per questo importante messaggio di sensibilizzazione, in un mondo di egoismo, di poca umiltà e attenzione al prossimo, è sicuramente un forte invito
alla coscienza di ogni essere umano.
Cordialmente.
Con STIMA
Patrizia Candido, Sant’Ambrogio di Torino.