Il rifiuto del bambino, la convinzione che sia una pericolosa fonte di malessere, il progressivo scivolamento in uno stato di scarsa lucidità e consapevolezza, aggravato da condizioni di insonnia perenne, le voci, i pensieri intrusivi, un abisso in cui pulsioni oscene ed inammissibili si fanno sempre più insistenti; tutto questo è ordine del giorno per migliaia di madri che affrontano e si trovano a fare i conti con la cosiddetta psicosi post partum, fase estremamente delicata e destabilizzante.
La protagonista ed autrice di questo Witches, Elizabeth Sankey, che ha vissuto in prima persona l’esperienza della psicosi post-partum (a tal punto da finire ricoverata in un ospedale psichiatrico) condivide la sua storia, ma anche quella di altre madri che ha conosciuto durante la sua gravidanza.
In questo documentario, scritto e diretto dalla stessa filmmaker britannica, l’autrice si mette completamente a nudo, effettuando un’interessante operazione filologica che riflette sul parallelismo tra la rappresentazione della strega, nella storia e nel cinema, e la condizione della donna in un momento di mutazione talmente profondo da risultare in certi casi sconvolgente ed insostenibile.
Tematica e racconto di prim’ordine quindi, l’accostamento con le streghe risulta effettivamente molto pertinente, dobbiamo fare i conti però, con una trattazione che non traduce l’intensità emotiva efficacemente, e non riesce a restituire, con il suo didascalismo, il respiro di occulto, magia, ed oscurità che dovrebbe emergere, fermandosi sempre molto, ma molto prima di giungere ad un esito soddisfacente.
In primis l’autrice si pone, e pone la sua figura, al centro della scena, decidendo di non ricorrere a nessun dispositivo narrativo intermediario per raccontare la sua storia. Si mette di fronte alla telecamera, fissa l’obiettivo e racconta. Pur essendo una scelta consapevole, questa modalità di narrazione può risultare talvolta distante, e la sua posizione di “testimone” in prima persona appare troppo controllata e misurata, limitando la percezione di autenticità e spontaneità nel racconto. Sebbene l’intenzione possa essere quella di mostrare vulnerabilità, il controllo delle espressioni e dei gesti disturba: dal momento che stiamo osservando una persona che intervista sé stessa, si produce da subito un’estrema difficoltà nel cogliere quella “sincerità” che ci si aspetta da un racconto di tale natura.

Il parallelismo con le streghe è interessante, e visivamente il documentario fa un ampio utilizzo di spezzoni tratti da famose pellicole cinematografiche: Häxan (1922), The Wizard of Oz (1939), Suspiria (1977), The Craft (1996), The Witches (1990), The Blair Witch Project (1999), The Love Witch (2016), Witches of Eastwick (1987), Carrie (1976), Rosemary’s Baby (1968), Midnight Son (2011), Girl, Interrupted (1999); tuttavia non si produce mai però un vero montaggio intellettuale che affidi allo spettatore la creazione di un nuovo significato più profondo e complesso attraverso il contrasto tra le immagini mentre viene piuttosto costruita una narrazione lineare o emozionale. Le immagini si limitano a mostrare in maniera didascalica e ricorsiva ciò che viene detto: mi rinchiusero in manicomio e mi davano le medicine in quei piccoli bicchierini —> scena di film ambientata in manicomio con ragazze in fila che attendono di ricevere il bicchierino con le medicine.
Certo, l’intento del film potrebbe non essere quello di stimolare un’interpretazione profonda attraverso il montaggio, ma di illustrare un parallelo concettuale tra la stregoneria e l’esperienza (talvolta) problematica della maternità. E allora forse dobbiamo ammettere che avremmo voluto vedere qualcosa che non rientrava negli intenti dell’autrice. A nulla servono le trovate scenografiche, la suddivisione in capitoli con una parte grafica estremamente curata, permane una sensazione di retorica visivo/narrativa di fondo, dalla quale si poteva, a nostro avviso, sfuggire. Rimangono sicuramente interessanti i contenuti e le testimonianze.
Su Mubi dal 22 novembre 2024.
Witches – Regia e sceneggiatura: Elisabeth Sankey; fotografia: Chloë Thomson; montaggio: Elisabeth Sankey; musiche: Jeremy Warmsley; interpreti: Sophia Di Martino, Catherine Cho, David Emson, Dr. Trudi Seneviratne, Professor Marion Gibson, Shema Tariq; produzione: Montgomery Avenue Productions; origine: Gb, 2024; durata: 90 minuti; distribuzione: Mubi
