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Voto
Nell’ultimo censimento, quello del 2022, Les Orres, località sciistica ricompresa all’interno di quelle che i francesi chiamano Hautes Alpes (in italiano Alte Alpi) contava 520 abitanti. È qui che Laurent (l’ottimo Baptiste Perusat) decide (parola grossa!) di trasferirsi, in bassa stagione peraltro, e in cerca di non si sa bene che cosa. Dapprima si piazza nella casa (sul momento) vuota dei parenti della compagna di sua sorella, ma poi, quando, per l’appunto, arriva l’alta stagione deve farsi venire in mente qualche altra soluzione, perché la casa viene data in affitto; da allora prende a vagare da un luogo all’altro, in cerca per lo meno di un posto dove dormire. Laurent ha 29 anni e ancora non sa neanche lontanamente che cosa fare della sua vita. Non ha un lavoro, non ha, come detto, una fissa dimora, non ha un passato, non ha una famiglia (con l’eccezione della sorella), non si capisce, volendolo dire in modo un po’ brutale, come abbia fatto a ridursi in questo stato. Alterna dei momenti di assoluta, seppur cortesissima, indifferenza a momenti in cui mostra pur sempre una certa qual empatia, ma la sua condizione, nel corso dei 100 minuti del film, resta sostanzialmente immutata, malgrado qualche possibile svolta emotiva che ogni tanto sembrerebbe prefigurarsi.
Ciò fa del film uno studio per larghi tratti meramente fenomenologico, del tutto privo di approfondimenti psicologici e men che meno di natura sociale. Va da sé che, stante la sostanziale inamovibilità del protagonista, ciò che finisce a più riprese per risultare interessante agli occhi dello spettatore è da un lato l’attenzione dedicata al paesaggio, raccontato nelle sue diverse declinazioni stagionali e, soprattutto, il dispiegamento di una serie di personaggi “minori”, ai quali Laurent di volta in volta si avvicina, per poi allontanarsi o dai quali essere allontanato. Un campionario di umanità, quello che incontriamo nel film, decisamente ricco e, diciamo così, diversamente bizzarro rispetto a Laurent, anche se poi ciascuno di coloro che conosciamo, bene o male, una strada nella vita l’ha trovata, che sia il ragazzone ossessionato dai Vichinghi, che sia la di lui madre (interpretata da Beatrice Dalle che non vedevo al cinema da una vita), comunque votatasi all’accudimento del figlio psicologicamente debilitato, che sia il fotografo, che passa le sue giornate sotto un ombrellone nei pressi di un tornante a fotografare le persone (pedoni, ciclisti, motociclisti) che passano di lì, diretti in vetta, con cui Laurent ha un breve incontro d’amore, che sia un pastore costantemente in cerca di una pecora incline ad abbandonare il gregge, o un’anziana donna allettata che aspetta solamente il momento di morire ecc. Ma per una ragione o per un’altra i numerosi e a tratti reiterati incontri si rivelano inutili a innescare in Laurent una sia pur minima possibilità di cambiamento, una svolta.
Sono due i riferimenti analogici che gli autori disseminano nel testo: uno è la pecora di cui sopra, anche Laurent è una pecora smarrita o comunque isolata dal gregge; l’altro è affidato a una celeberrima canzone di Manu Chao, ovvero Desaparacido, riascoltatela, e soprattutto, leggete il testo e capirete chi è Laurent. Ciò detto, il film riesce paradossalmente comunque a porre lo spettatore in una condizione di incertezza, relativamente alle potenzialità del protagonista di suscitare empatia: la sua sostanziale passività finisce per irritare, il suo modo di fare, i suoi sorrisi, la sua dolcezza, la sua calma interiore non possono fare a meno di affascinare in un mondo in cui regna sovrana l’efficienza, la smania di fare, di produrre e di performare.
Il film è diretto da tre talentuosi registi (per i nomi vedi l’intestazione e i credits sottostanti, giovanissimi (nati rispettivamente nel 1996, nel 1997 e nel 1999), giunti al loro secondo lungometraggio (anche il precedente, Mourir à Ibiza era stato girato a 6 mani), che oltre alla regia si sono spartiti diverse competenze nella realizzazione del film, presentato in una delle molteplici sezioni del Festival di Cannes, quella di ACID, dedicata ai cineasti emergenti.
Laurent dans le vent – Regia, sceneggiatura: Anton Balekdjian, Léo Couture, Mattéo Eustachon; fotografia: Mattéo Eustachon; montaggio: François Quiqueré; musica: Léo Couture; interpreti: Baptiste Perusat, Béatrice Dalle, Djanis Bouzyani, Thomas Daloz, Monique Crespin, Suzanne de Baecque; produzione: Mabel Films; origine: Francia, 2025; durata: 110 minuti.
