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Voto
Se è vero che il found footage mette al centro il montaggio come pratica conoscitiva e insieme gesto estetico in rapporto con l’opera e lo sguardo di qualcun altro, è anche vero, allora, che il tipo di esperienza al centro della corrispondente fruizione sarà, e inaggirabilmente, di natura anzitutto psico-sensoriale. Così che la miscela ritmica, le correnti energetiche e il processo di autenticazione riconfigureranno “di volta in volta, la nuvola semantica di quelle immagini ri-viste, in un procedere dialettico senza reti di protezione” (Marco Bertozzi, Documentario come arte. Riuso, performance, autobiografia nell’esperienza del cinema contemporaneo, Marsilio 2018).
Rivisitazione dello sciopero – live performance del duo Luca Maria Baldini e Cosimo Terlizzi in scena nel suggestivo spazio romano Zalib all’interno della sezione Live Performance (curata da Giacomo Ravesi) di Unarchive Found Footage Fest – è un progetto audiovisivo, prodotto da AAMOD e Le Cannibale e dedicato a Pasolini nel centenario della nascita, che riutilizza un girato di circa 85 minuti (di cui purtroppo si è perso il sonoro e mai montato) effettuato durante la prima manifestazione degli “scopini”, da lui stesso definiti: “e oggi 24 aprile 1970 è giorno di sciopero: l’Ordine degli Scopini è entrato nella storia; bisogna essere contenti, come se gli angeli fossero scesi sulla terra, a sedersi sulle panchine dei viali e sui muretti della borgata; è il giorno di Rivelazione; è caduta ogni separazione tra il Regno d’Ognigiorno e il regno della Coscienza; ciò che resta intatta è l’umiltà; perché chi ebbe una vocazione vera non conosce la violenza; e parla con grazia anche dei propri diritti” (Pier Paolo Pasolini).
La mossa riconfigurativa di Baldini e Terlizzi è potente, perché gli artisti, dopo aver selezionato 45′ circa di materiale, scelgono di posizionare la voce del regista sui volti degli operai, in questo modo suggerendo l’emersione di una ritrovata coscienza fluttuante a mezz’aria sui corpi degli “scopini” (forse uno dei settori operai meno specializzati) in sciopero. Il montaggio autoriale delle immagini e dell’audio di Terlizzi (la voce di P.P.P. e poi di Alberto Moravia) e il soundscape live di Baldini, composto da campionature, sintetizzatori e strumenti analogici, producono un denso corto circuito semantico e sonoro allorché gli operai, soggetti che parlano di fronte a un Pasolini muto, o meglio mutato soltanto in un’esperienza di sguardo, diventano gli intercessori – ponti e intermediari, per dirla con Deleuze, tramite cui accedere ad altre prospettive e intensità – per le parole dello stesso poeta e per il noto discorso di Moravia durante il suo funerale.
Un gesto con cui togliere gli operai dal patetismo cui spesso sono stati ridotti e insieme uno scarto linguistico e identitario: dotandoli di una agentività soggettivizzante, ad essere questionata è la stessa condizione di testimonialità. Lo spazio critico aperto da questa “intermediazione”, fatta di rapporti eterogenei e stratificati, non può che ribaltare, inoltre, la stessa posizione di Pasolini: non più agente ma agito, non più intellettuale che discerne avendo un oggetto (seppure amato) davanti ma corpo-sguardo parlato dal linguaggio dell’altro.
Oltre al pathos, civile e affettivo, di poter ri-vedere, e in forma amplificata e attiva, la classe operaia, e di poterla ri-vedere attraverso lo sguardo, trasparente e mai pacificato, di Pasolini, è evidente come gli intrecci, gli scarti, le manipolazioni e i ribaltamenti implicati nella performance di Terlizzi e Baldini producano un tipo di esperienza e di “indagine” di natura qualitativamente sovversiva. La “rete di protezione” della Storia scritta dai soliti orditi salta, con un ri-uso resistente della memoria che è ancora esperienza.
