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Che epopea intimamente dickensiana, questa di The Father, the Sons and the Holy Spirit, che gravita attorno a due fratelli, Henrik e Christian, ed assume un carattere mitologico ed allegorico. Un’opera il cui respiro abbraccia quattordici anni di vita delle loro famiglie, e che vede i due avanzare con solenne ostinazione verso i rispettivi destini.
L’autore Christian Sønderby Jepsen ci abbaglia con irreali tramonti su mari nordici, mentre lascia che lentamente il racconto prenda forma, ed introduca il cardine metafisico della ricerca, della disperazione e della rovina delle due famiglie: tutto nasce da una grossa eredità e da un testamento che non menziona i nomi dei due fratelli, quando entrambi erano certi che a loro sarebbe spettata una grossa porzione di lascito. Si può dire, anzi, che avevano fino a quel punto impostato l’esistenza in funzione del momento in cui avrebbero ereditato i soldi. La vicenda è oscura, il testamento è forse falsificato, il padre dei due fratelli, uomo abietto e squallido, forse c’entra qualcosa, ma si rifiuta di vederli perché ha una nuova famiglia. Dimostrare che il testamento è falsificato, ottenere un confronto con il padre, e vedersi riconosciuti quali legittimi eredi diventa il nucleo della discordia che nutre di rancore e manda lentamente alla deriva le famiglie di entrambi. All’apparenza si parla di soldi, ma la questione ha a che fare con l’ammissione di una colpa mai avvenuta, ed un riconoscimento che viene negato, non sono i soldi che bloccano le loro esistenze, ma qualcosa di intangibile ben più forte e difficile da lasciarsi alle spalle. Uno schiaffo morale, intriso di disprezzo, continua a calare sui loro volti.
Christian non lavora da 12 anni ed è dipendente da cannabis, da qualche parte però è riuscito ad impossessarsi di uno scampolo di saggezza, e ad un certo punto vi si aggrapperà con forza. Henrik è più violento, smarrito, confuso e pericoloso, alcolizzato e tossicodipendente, soggetto ad influenze e ancora in cerca di modelli cui affidarsi. I due si vogliono bene, comprendono molto bene la sofferenza dell’altro, anche se la elaborano in maniera differente. Gli echi del rancore dei due fratelli ovviamente riverberano su tutti i familiari: Christian ha un figlio intelligente che rischia la depressione a causa delle condizioni di disagio familiare che lo circonda, mentre il figlio di Henrik si allontanerà da lui perché evidentemente non è facile mantenere una relazione stabile con un padre tossicodipendente e violento.
Eppure i due fratelli sanno amare, darsi, accogliere, e forse anche liberarsi del risentimento che per anni ha caricato la rivoltella invisibile puntata alle loro tempie.
Il tempo passa: uno dei due fratelli tira il grilletto di quell’arma; l’altro decide di posarla. Ma entrambi trovano consapevolezza e appartenenza. Certo, nel caso di Henrik parliamo di appartenenza a un delirante gruppo nazionalista con riferimenti ai cavalieri templari, dall’ideologia razzista, violenta e grottesca (il leader del gruppo è uno strano energumeno che canta canzoni patriottiche su YouTube), mentre Christian capisce che non può permettersi di continuare a vivere in quel modo, né di accettare la pensione anticipata, perché così non potrebbe più guardarsi in faccia e dirsi che ha fatto tutto il possibile per interrompere la catena disfunzionale che ha ingabbiato la sua famiglia per generazioni.
Questa straordinaria simmetricità delle strade che i due fratelli si ritrovano ad imboccare viene raccontata in maniera elegiaca e partecipe. Nell’ultima scena le due famiglie si ritrovano alla festa del diploma del figlio di Christian: ne hanno passate tante, e noi con loro. Li abbiamo visti ubriachi, dormire per strada, minacciare passanti, piangere, festeggiare, e li salutiamo con quell’ultima cerimonia e con la curiosità di sapere che cosa accadrà di loro.
Sarebbe veramente difficile scrivere una sceneggiatura che contenga così tanta umanità, disperazione e desolazione come quella delle famiglie di Henrik e Christian. Il film accompagna la vicenda con momenti visivamente potenti, fatti di scorci di assoluto splendore, e una colonna sonora d’eccezione composta da musica metal, suonata anche dal vivo dal figlio di Christian, che trasmette vitalità, senso di rivalsa, ferocia, e tutta la furia di cui è composta l’esistenza.
The Father, the Sons and the Holy Spirit (Faderen, Sønnerne og Helligånden) – Regia: Christian Sønderby Jepsen; fotografia: Christian Sønderby Jepsen; montaggio: Simon Hjetting Veitland; interpreti: Henrik Ernst Steffensen, Christian Peter von Ernst, Alexander Peter Ernst, Ceci Karen Ernst; produzione: Moving Documentary (Danimarca) (Mira Jargil); in collaborazione con Danmarks Radio (DR), Sveriges Television (SVT), VGTV; origine: Danimarca, 2025; durata: 97 minuti.
