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Reduce dai due lungometraggi d’animazione, Archipel (2021) e Ville Neuve (2018), il canadese Félix Dufour-Laperrière ha presentato alla passata Quinzaine des Cinéastes di Cannes ‘78 l’ultimo suo lavoro, il più politico oltre che militante. Non è un caso che La mort n’existe pas, venga elaborato in un momento storico nel quale le spinte alla violenza stanno tornando sempre di più alla ribalta, mentre le pratiche democratiche e dialogiche appaiono sempre più in crisi.
Quella di Félix Dufour-Laperrière si presenta come una riflessione di natura politica, sociale ed esistenziale che, pur non volendo apparire reazionaria, potrebbe rischiare di esserlo. L’imprinting è quello di chi deve fare i conti con le ingiustizie politiche e sociali e la diseguaglianza di classe. Il regista pone sul tavolo un tema molto serio e sempre più attuale sia in Europa che nell’America nord-occidentale: da dove nasce allora la problematicità e l’ambiguità di questa lunga riflessione politica animata? Il punto cruciale sta nel modo in cui viene trattata la violenza di chi intende ribellarsi allo status quo. Negli ultimi anni spesso si è parlato, infatti, della violenza agita nelle guerre tra Stati, ma qui il focus è spostato sulla necessità di ribellarsi alle ingiustizie sociali. Come accennavamo, il tema è di grande cogenza e serietà, in un momento storico in cui la recessione economica, l’inflazione inarrestabile, le guerre, la crisi diffusa del welfare state, nonché la progressiva perdita di spazi democratici e l’erosione graduale di diritti fondamentali quali quello alla salute, al lavoro e alla libera espressione di pensiero, avanzano.
L’incipit della narrazione, sia dal punto di vista visivo (e animato) che concettuale è semplice ed efficace, eppure il lungo dialogo interiore che seguirà – parallelo alla fuga nel bosco – non saranno all’altezza del compito che si è dato Dufour-Laperrière con questo lavoro animato ambizioso e politico.
Parlare della nostra epoca storica attraverso il linguaggio visivo e simbolico dell’animazione è senz’altro una sfida importante ed entusiasmante, che però il regista canadese perde alla prova della tenuta concettuale e narrativa dei dialoghi del film.
Le immagini iniziali sono di grande impatto e pregnanza: la scelta di soffermarsi sulle statue che decorano sfarzosamente la villa dei ricchi (teatro dell’attacco), è arguta ed efficace: sono immagini che intendono sottolineare il permanere di uno status quo statico, che si intenderebbe scardinare con le proprie azioni dinamiche.
Se, infatti, l’utilizzo dei colori appare a volte addirittura geniale, a mancare è la profondità dei dialoghi e dei personaggi. L’unica figura ad essere ben caratterizzata è la protagonista Hélène (con la voce originale di Zeneb Blanchet); gli altri compagni di viaggio, in primis l’amica Manon – che fungerà da vero e proprio grillo parlante della coscienza della fuggitiva Hélène – ma anche il compagno Marc, saranno sacrificati all’utilizzo di un lungo dialogo interiore (morale e politico) che sovraccarica l’intero arco temporale del film.
La mort n’existe pas appare pertanto come un lungometraggio riuscito a metà: sicuramente ispirato da un tema di grande attualità e cogenza, risulta ambiguo nel trattare la tematica della violenza in un frangente storico in cui le spinte a dimenticare la cultura europea del riformismo democratico sembrano provenire da tutte le parti.
La mort n’existe pas – Regia, sceneggiatura e montaggio: Félix Dufour-Laperrière; musiche: Jean L’Appeau; voci originali dei personaggi: Zeneb Blanchet, Karelle Tremblay, Mattis Savard-Verhoeven, Barbara Ulrich, Françoise L., Marie B., Félix Dufour-Laperrière; produzione: Embuscade Films, Miyu Productions; origine: Canada/Francia; durata: 72 minuti.
