La serata in Piazza Grande di Ferragosto si è aperta con Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival, che ha introdotto il Pardo d’Onore ad Alexander Payne, sottolineando come il regista americano sappia portare sullo schermo “strani amori, sorrisi, drammi… film che riflettono la vita stessa, in una continua ricerca di storie che compongono una vera e propria commedia umana”.
Dal palco Payne ha sorpreso un po’ tutti parlando in un italiano impeccabile. Ha rievocato il suo primo film mostrato fuori dall’America [il mm. The Passion of Martin, 1990] quando a 29 anni lo ha presentato a Montecassino, in cui si teneva un evento per gli studenti di cinema. “È incredibile per me – ha detto – essere qui, 35 anni dopo, in un’altra calda estate, ancora in un paese dove si parla l’italiano. Grazie per aver condiviso questo Festival con me.”
Poi si è passata la parola alla presentazione di It Was Just an Accident/ Un simple accident. Jafar Panahi, uno dei grandi maestri del cinema iraniano, è tornato a Locarno dopo aver vinto nel 1997 il Pardo d’Oro con Ayneh (Lo specchio). Dal palco ha ricordato il suo debutto con Il palloncino bianco, realizzato nel 1995 quando era ancora studente di cinema: “All’epoca non avrei mai immaginato che un giorno avrei avuto un film davanti a 8.000 spettatori in Piazza Grande. È un sogno per chiunque faccia cinema.”
Il contesto e la situazione politica dell’Iran non sono stati dimenticati. Si è ricordato come il regime iraniano continui a reprimere con brutalità proteste e libertà artistiche. Panahi, reduce da anni di carcere e tuttora ostacolato dalla censura, ha dichiarato di aver dedicato questo film alle persone conosciute in prigione – insegnanti, donne, giovani filmmaker – molti dei quali continuano a vivere in condizioni di oppressione. Senza poter rivelare come riesca a girare i suoi film in clandestinità, ha ribadito la necessità di raccontare la realtà del suo paese anche sfidando divieti e rischi personali.

A sorpresa è salito sul palco anche Mohammad Rasoulof, fresco vincitore del primo Premio Locarno Città della Pace (11 agosto 2025), riconoscimento che celebra il valore del dialogo e della pace. I due registi, amici da oltre vent’anni, si sono abbracciati a lungo davanti al pubblico. Rasoulof ha ringraziato il festival per il sostegno al cinema indipendente e ha raccontato un aneddoto toccante: quando entrambi erano in prigione, Panahi, per non far soffrire la madre, le diceva al telefono di trovarsi sul set di un film. Così, con l’aiuto dei compagni di cella che recitavano battute da finti attori, riusciva a mantenere viva questa illusione.
Non sono mancati riferimenti ad altri casi di persecuzione: Giona Nazzaro ha ricordato le violenze, subite durante una retata della polizia, da Ali Ahmadzadeh, vincitore del Pardo d’Oro 2023 con Critical Zone, in cui gli è stata hanno letteralmente svaligiata casa (compreso il premio di Locarno).
Dopo queste testimonianze, in Piazza Grande è iniziata la proiezione di Yek tasādof-e sāde (It Was Just an Accident/ Un simple accident ), vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2025. Il film di cui Close-Up ha già parlato da Cannes, è un storia, solo in apparenza “semplice”, che si apre con un viaggio notturno: un padre, la moglie incinta e la figlia tornano a casa in auto. Un incidente con un cane randagio innesca una catena di eventi imprevisti: la macchina si rompe e l’uomo finisce in un’officina dove viene riconosciuto come un ex torturatore politico. Da lì prende avvio una spirale di accuse, vendette e incontri con gli ex detenuti che pretendono giustizia. Panahi costruisce un racconto che mescola thriller, road movie e commedia nera, capace di stapparci una risata riguardo a situazioni assurde e tragiche allo stesso tempo. Ogni personaggio diventa il simbolo di una parte della società iraniana: vittime, carnefici, sopravvissuti, figure che oscillano tra desiderio di vendetta e bisogno di verità. Il film si muove tra caos e tensione, ma trova la sua forza nel passaggio dalla rabbia al perdono, dalla sete di giustizia alla possibilità di riconciliazione. È un’opera che parla della brutalità di un regime, ma anche della resistenza umana, della capacità di trasformare il dolore in un gesto di compassione. Un cinema che non solo denuncia, ma ci invita a credere che anche nei luoghi più oscuri possa nascere un atto di amore.
Foto della piazza: Stéphanie-Linda Maserin
