Festival di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025): Orphan di László Nemes (Concorso)

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Era dal 2018 – e anche in quel caso era la Mostra del Cinema di Venezia – che László Nemes non faceva più sentire la sua voce. Con Tramonto aveva raccontato Budapest a un passo dal primo conflitto mondiale, attraverso i sogni infranti di una giovane modista, sballottata per le vie di una città sventrata, costretta a guardare bruciare la cappelleria che avrebbe dovuto assicurarle un futuro e una posizione. Torna adesso con un racconto personale (Nemes si è ispirato alla storia vera di suo padre) per indagare quello che avvenne poi, dopo un’altra guerra, il nazismo, la shoah. In quest’altra Budapest – quella del 1957 – però nulla sembra poter rinascere. Le ombre del passato e di una nuova dominazione continuano a inquinare le esistenze: l’unica possibilità, – in un mondo adulto tragicamente compromesso, spezzato – sembrerebbe quella di affidarsi all’infanzia. Ed ecco Andor, la sua giovinezza, una madre ritrovata dopo gli anni in orfanotrofio.
In un mondo di scomparsi, Andor è in attesa del ritorno di Hirsch, il padre che manca all’appello da dieci anni, il cui cognome ripete allo sfinimento perché è anche il suo, quello che lo lega indissolubilmente all’uomo che non ha mai potuto abbracciare. Questo, fin quando non si presenta a casa un altro uomo, il macellaio di un paese vicino, un brutale, mastodontico individuo che dice di essere il suo vero padre. Per Andor si tratta di scegliere: restare un orfano o accettare un’altra verità?
Per Nemes non è più tempo di braccare l’umanità perché non c’è più nulla da schivare: al contrario occorre aprire lo sguardo all’intorno, in un ribaltamento totale rispetto a Il figlio di Saul e a una visione sfocata dell’orrore che lo circonda. Andor osserva e capisce tutto, il suo punto di vista è quello di un segugio, annusa il terreno, misura le tracce, sbircia sotto le porte, scava buche profonde. Riportare alla luce in un mondo buio e dai vetri sporchi è l’imperativo.
Orphan è un’opera dalla doppia anima, che per lunghi tratti sembra girare a vuoto, stordita dai suoi primi piani, incapace di liberarsi della maniera, quasi non avesse fiducia nel potenziale del suo conflitto. Un paradosso se si pensa all’attitudine di Nemes di esordire in medias res, senza lasciare allo spettatore neppure il tempo di orientarsi. È come se questa volta, invece, si sentisse l’urgenza dell’affresco, di offrire un quadro più che stabile nel quale andare poi ad agire. Ne viene fuori un’opera zavorrata che trova solo nello scorrere dei minuti una capacità di elevazione (non a caso il finale si svolge su una grande ruota panoramica), quando accetta di trasformare la Storia in Fiaba. Un atto per nulla scontato, ma totalmente calzante se pensiamo all’età di Andor. Il nuovo padre, ai suoi occhi (e non solo ai suoi) è un orco: ne ha le fattezze, i modi, i segreti. La sua soffitta è l’antro della bestia, il suo sidecar un mezzo di locomozione quanto meno bizzarro. Fare i conti col passato diventa allora rinunciare a un’idea di purezza, ammettere di stare al mondo non in rappresentanza di una vittima (Hirsch), ma in seguito al gesto caritatevole e nulla affatto disinteressato di un vincitore (Berend).
Orphan è il racconto di una ribellione mancata che si interrompe un attimo prima di compiere il gesto definitivo. In questo senso il padre/orco Berend è l’enorme corpo da annientare, concentrato di sopraffazione, ingordo e istintivo: un corpo da uccidere se non fosse che è lì, in piedi, nonostante tutto pronto ad accogliere. I quattrocento colpi di Nemes si fermano laddove il novello Antoine Doinel cominciava a correre; non sono un calcio dato a un pallone, nè una fuga sulla spiaggia. Non c’è una libertà da far valere, quanto un destino da accettare. L’antivigilia della festa (Budapest si prepara a festeggiare il suo primo maggio) rende lugubri le luci finali della giostra a formare la stella di David, un cortocircuito che, in questo nostro tempo orribile e violento, appare la perfetta fotografia di un’umanità ribaltata, incapace di distinguere la luce dal suo riflesso. Chi sono, oggi, gli orfani?

Orphan (Árva):  – Regia: László Nemes; sceneggiatura: László Nemes, Clara Royer; fotografia: Mátyás Erdély; montaggio: Péter Politzer; musica: Evgueni e Sacha Galperine; scenografia: Márton Ágh; costumi: Andrea Flesch; effetti visivi: Glen McGuigan; interpreti: Bojtorján Barábas, Andrea Waskovics, Grégory Gadebois, Elíz Szabó, Sándor Soma, Marcin Czarnik; produzione: Pioneer Pictures, Good Chaos, AR Content, Mid March Media, Arte France Cinéma, Pallas Film; origine: Ungheria/Regno Unito/ Germania/ Francia, 2025; durata: 132 minuti; distribuzione: Movies Inspired.

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