Festival di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025): À pied d’oevre di Valérie Donzelli (Premio Osella per la miglior sceneggiatura)

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La prima immagine che appare sullo schermo è un muro decorato che si crepa. Qualcuno dal lato opposto lo piccona fino a farlo sgretolare. A picchiare è Paul (Bastien Bouillon), un quarantenne pallido e smilzo con gli occhiali da intellettuale. La sua immagine cozza con il mestiere che fa al momento, operaio semplice, pagato alla giornata.

La voce fuori campo spiega, da narratore della storia: Ho scelto di smettere di fare il fotografo per fare lo scrittore. Restare scrittore è unaltra storia.

Paul vende le macchine fotografiche a un tipo col motorino in mezzo alla strada che lo paga in contanti e se ne va via senza un grazie. Nell’incontro con la editrice (Virginie Ledoyen) la donna gli dice che il suo ultimo libro ha venduto 5.000 copie: non è nulla ma non è redditizio. Il manoscritto che le ha sottoposto non funziona, è debole, troppo autobiografico, non graffia. E poi Storia di una fine non è un buon titolo, soprattutto in questa epoca. Ha già avuto anticipo. La donna pretende: È il tuo quarto libro, mi aspetto una grande romanzo.

A casa mentre scrive arriva la ex moglie (Valérie Donzelli) a finire gli scatoloni: si trasferisce coi figli in Canada. Lui si chiede quando li rivedrà con i prezzi dei voli. La ex dice che se la caverà.

La visita ai genitori è all’insegna della riprovazione. Nessuno comprende la sua scelta, la sua ostinazione a restare fedele ad una cosiddetta vocazione letteraria quando non ne riesce a cavare una sopravvivenza. Paul comunica che si trasferisce in un monolocale seminterrato. Il padre, prima che vada via, gli offre l’anello del nonno da vendere. Lui rifiuta. La voce fuori campo punteggia: Guadagnavo 3.000€ al mese come fotografo, a volte perfino 8.000 €. Ora prendo 250€ al mese di diritti dautore.

Mentre ricorda – un giornalista letterario al primo libro mi ha detto: farà molta strada – davanti al computer si iscrive ad un sito di offerte di lavoro, Jobbing, in cui si fa un rilancio al ribasso sulla proposta di lavoro, chi offre di meno vince il lavoro (guadagnando una miseria). Dalla finestra che affaccia su strada osserva le gambe dei passanti (citazione da Truffaut L’uomo che amava le donne) seduto a scrivere.

Il lavoro di tuttofare comincia a ingranare: ripulisce un giardino con le cesoie perché non ha un tosaerba, attacca specchi, smonta soppalchi, diserba piante nei terrazzi. Nel mentre osserva le persone e trascrive su un taccuino le loro caratteristiche, le abitudini. Ad una festa dove hanno ordinato una pizza a domicilio e chiamato lui per montare un armadio, le ragazze gli dicono che non sembra un tuttofare, piuttosto un medico o un insegnante, forse per via degli occhiali. Si scontra con l’equivoco dell’immagine, con tutti coloro che non lo accettano per quello che è. Il figlio lo chiama dal Canada per festeggiare di aver ottenuto un lavoro in una grossa azienda: Sei fiero di me, papà? Me lo dici?

Ha una violenta discussione sulla povertà con la sorella che lo accusa di essere un artista, non un vero povero, perché lui sceglie di vivere in quelle condizioni, non ci è nato come i bambini indiani o quelli del Madagascar che ha visto in viaggio. Paul controbatte che in Francia ci sono 11 milioni di poveri, non è che non sono veri poveri solo perché lei non li hai visti in vacanza. Per chiudere in bellezza il padre gli chiede perché non scrive un libro che si venda, un bestseller. Tutti tirano in ballo il concetto di scelta, nessuno capisce che la povertà non è più facile, non consiste nel non far niente, essere poveri costringe a eliminare il superfluo da ciò che già è ristretto al minimo, povertà è imparare a fare a meno.

Paul beve caffè, cerca di smettere di fumare, mangia pochissimo, si mette a fare il tassista  con la macchina d’epoca del padre dopo essersi ammaccato a portar giù una scala di ferro dal terzo piano. Incontra persone con cui lavorava quando faceva il fotografo, non ha voglia di ricordare, preferisce fingere di ascoltare musica alla radio. Non si presenta a un evento letterario, è troppo stanco, si sente distante da tutto tranne che dalla scrittura.

Non ho più un posto nella società. Sono come le cinque di un pomeriggio invernale, è buio ma non è ancora notte.

Per i diciotto anni della figlia Paul fa una videochiamata con la famiglia in Canada. Lui le ha spedito una foto di lei a sette anni in una gita al lago. Le spiega che allora lei gli aveva detto che la sua cosa preferita al mondo erano le nuvole. Quel giorno l’aveva fotografata col riflesso delle nuvole nell’acqua del lago. Le suggerisce di incorniciarla. La ragazza taglia corto. Paul chiede alla ex se la figlia ce l’ha ancora con lui. No, è preoccupata per te, alla sua età si ha bisogno di solidità, di punti fermi, la tua precarietà non la capisce.

E poi lo invita a non usare nulla di quello che si sono detti nei suoi libri che, d’altronde, nessuno di loro, né lei né i figli, ha mai letto.

L’editrice respinge il manoscritto. Il padre ha paura che finisca in strada come un clochard. La vita non dà scampo, non lascia un attimo di respiro, incalza, stordisce, esaspera, imperversa. Paul attutisce i colpi, non replica a chi lo stuzzica, nemmeno quando lo fa per preoccupazione o affetto. Tutto volge al peggio, il crescendo ha raggiunto il limite, deflagra il dramma, il padre agisce con aggressività, Paul è stanco, così stanco che non si regge più in piedi.

Finire un testo non significa essere pubblicati, essere pubblicati non significa essere letti, essere letti non significa essere amati, essere amati non significa avere successo, e il successo non offre alcuna promessa di fortuna – recita la voce fuori campo nel pre-finale.

A tratti c’è una commistione di formati: le soggettive di Paul sono girate in super8 e si vedono le foto che scattava nella vita precedente di fotografo, di uomo realizzato, di successo, integrato nella società.

Tratto dal romanzo autobiografico omonimo di Franck Courtès, À pied d’oevre è un film rigoroso e potente, calibrato, perfettamente in sintonia con un protagonista incorrotto, posseduto dalla certezza di volere fare una cosa considerata dagli altri un lusso, un vezzo, qualcosa di anormale, che lo porterà all’abisso. In barba ai pareri di tutti Paul si attiene a ciò che si è prefisso, non sgarra, non cede, non cade, non si offende, non risponde, non accetta le regole degli altri, non scende a compromessi. Paul è integro ma non integralista, non è fanatico ma ispirato, preda del fuoco sacro della scrittura. Non è ambizioso ma ambisce a scrivere, risponde moralmente ad una esigenza interna di esprimersi attraverso l’arte della letteratura, a ragione. Consigliata la visione.


À pied d’oevre (tit. inter.: At Work); Regia: Valérie Donzelli; sceneggiatura: Valérie Donzelli, Gilles Marchand; fotografia: Irina Lubtchansky; montaggio: Pauline Gaillard; musica: Jean-Michel Bernard; interpreti: Bastien Bouillon, André Marcon, Virginie Ledoyen, Valérie Donzelli; produzione: Pitchipoï Productions; origine: Francia, 2025; durata: 92 minuti; distribuzione: Teodora Film.

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