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Voto
Presentato nella Settimana Internazionale della Critica alla Mostra del Cinema di Venezia 2025, A Straight Circle segna l’esordio al lungometraggio di Oscar Hudson, autore prolifico e conosciuto sino a questo momento per i suoi videoclip musicali (tra gli altri per Radiohead e Bonobo) e per i suoi spot pubblicitaria.
Dopo la visione del film, ci pare inevitabile leggere l’opera attraverso la lente di un’estetica che si è sin qui espressa a suon di astrazioni, di geometrie, di ritmi sincopati e di soluzioni visive pensate per colpire immediatamente lo spettatore: caratteristiche che appartengono al mondo dei cortometraggi musicali sin qui sfornati. Hudson sembra consapevole di questo bagaglio e lo trasforma in metodo narrativo: sceglie un racconto ridotto all’osso, si affida all’impatto visivo e all’esperienza sensoriale e mette da parte, anche se mai del tutto, la costruzione classica di trama e personaggi.
Il racconto è presto detto: due soldati nemici si ritrovano bloccati in un deserto astratto, privati delle regole e delle coordinate che definivano la loro identità e par quasi i motivi stessi del contendere. Lo spazio in cui si muovono non è un luogo realistico, ma concettuale. L’assenza di concretezza dello sfondo fa sì che ogni gesto, ogni inquadratura, acceda allo statuto dell’allegoria pura e semplice. In questo modo la pellicola non racconta la guerra, ma si impagina come riflessione astratta, eppure violentemente concreta, sull’assurdità dei confini e sulla precarietà con cui costruiamo il concetto stesso di nemico.
Hudson utilizza in questo senso, gli strumenti più adeguati: montaggio serrato alternato a dilatazioni improvvise, gestione geometrica dello spazio visivo, uso del colore e della luce come elementi drammaturgici autonomi. Le sequenze così impaginate, più che quadri, diventano fotografie d’autore, concepite con forza iconica e tali da imprimersi nella memoria al di là del continuum narrativo in cui sono tuttavia calate.
Il risultato è destabilizzante. Produce una realtà frammentata, deformata, sospesa.
I due protagonisti — interpretati dai gemelli Luke ed Elliot Tittensor — diventano figure astratte, corpi che attraversano un paesaggio mentale dove l’identità si dissolve. L’uso della musica, affidata a Maxwell Sterling, rinforza questa sensazione di trance visiva: i suoni elettronici e ipnotici amplificano l’impressione di trovarsi in un limbo percettivo, più che in un deserto realistico.
Il debito al linguaggio videoclipparo è evidente anche nell’attenzione al design: ogni elemento scenografico è ridotto al minimo e insieme esibito come segno.
Certo questa dimensione formale insistita rischia di sfociare nel barocco, eppure questo continuo braccio di ferra tra pubblicità e cinema, tra videoclip e narrazione, costituisce l’originalità di un film che vuole essere allo stesso tempo riflessione politica e esercizio estetico. La guerra, spogliata delle sue coordinate storiche, diventa così un puro dispositivo visivo, un campo in cui lo spettatore è chiamato a interrogarsi sul senso di frontiera, appartenenza e nemicizia.
In definitiva, A Straight Circle è un debutto che divide ma non lascia indifferenti.
A Straight Circle – Regia: Oscar Hudson; sceneggiatura: Oscar Hudson; fotografia: Christopher Ripley; montaggio: Fouad Gaber; musica: Maxwell Sterling; scenografia: [non disponibile in fonti]; interpreti: Luke Tittensor, Elliot Tittensor, Neil Maskell, Fiona Ramsay, Matthew Dylan Roberts, Camilla Waldman; produzione: Thomas Benski, Greig Buckle, Rik Green, Riaz Rizvi, Kevin Rowe per 2AM, Such Content, MAGNA Studios, BBC Film, Helekan Pictures, Prospect Avenue; origine: Regno Unito / Stati Uniti / Sud Africa, 2025; durata: 108 minuti
