Performance: OMUS – Chiedi alla pelle di rispondere di Francesca Pennini/CollettivO CineticO

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In OMUS – Chiedi alla pelle di rispondere, Francesca Pennini torna al corpo come mappa antica, come territorio in cui si leggono non solo i desideri, ma anche le ferite della storia. È un gesto profondamente joyciano: come nel grande scrittore irlandese il corpo diventa un atlante della vita interiore, qui la pelle registra forze che la precedono, memorie, archetipi, traumi. La pelle come custode di un sapere che affiora non attraverso la parola ma attraverso la carne.

La scena è un cerchio rituale che ricorda un’arena, un campo di battaglia miniaturizzato dove la lotta non è mai soltanto fisica. Quando i corpi si legano, si trascinano, si martirizzano, emerge una verità più radicale: l’azione non rappresenta solo un gioco di forze, ma porta con sé l’eco delle violenze collettive, dei soprusi, della guerra che attraversa i secoli come una corrente sotterranea.
Il legame fisico — corde, trazioni, vincoli — diventa una metafora viscerale: ciò che costringe non è solo l’altro, ma la Storia stessa, che stringe, chiude, annoda. I corpi diventano allora memoriali viventi: portano addosso gli strattoni che hanno segnato popoli, i trascinamenti che hanno costruito le geografie del dolore.

Pennini utilizza questa dimensione con lucidità: non c’è compiacimento, non c’è spettacolarizzazione. La violenza appare come ciò che è sempre stato scritto nella nostra carne e che la coreografia permette di far riaffiorare. È un atto di “archeologia del corpo”, in cui il gesto non imita la guerra ma la evoca come fantasma persistente. Il corpo martoriato diventa un testo sacro da decifrare: un sutra di sopravvivenza, un codice di resistenza.

In questo senso, OMUS si muove su un crinale poetico potente: la pelle non risponde solo al presente, ma vibra con memorie più grandi di lei. Come Joyce faceva del corpo il punto di intersezione tra individuo e storia, il luogo in cui il privato sanguina nel collettivo, così Pennini costruisce un flusso fisico che ricorda un flusso di coscienza carnale.
Non pensieri che emergono, ma traumi; non immagini, ma stratificazioni. Il corpo come diario di guerra, come palinsesto di cicatrici mai del tutto guarite.

Nel loro legarsi e slegarsi, le performer incarnano un doppio movimento: da un lato la sottomissione, dall’altro un’ostinata volontà di continuare a muoversi. Anche nel martirio c’è una forma di resistenza. Anche nella trazione più crudele si insinua una possibilità di rinascita. È come se OMUS dicesse che la storia umana è fatta di nodi che stringono, ma anche di mani che cercano, con fatica, di scioglierli.

La visione complessiva è potente e disturbante, ma necessaria.
Lo spettatore è invitato non solo a osservare, ma a confrontarsi con ciò che il corpo ricorda anche quando vorremmo dimenticare.
La pelle risponde, e la sua risposta, come in Joyce, è sempre ambigua, dolente, splendida, insopportabilmente vera.

OMUS – Chiedi alla pelle di rispondere diventa così un rito contemporaneo in cui riconoscere le nostre vulnerabilità e le nostre battaglie. Un’esperienza che non racconta la guerra, ma la fa sentire. Non parla della violenza, ma la fa emergere come ombra incisa nella nostra anatomia.
E ci ricorda che ogni corpo, legato o libero, è un archivio della specie.
Un frammento di storia che chiede ancora, ostinatamente, di essere ascoltato.

Al Maxxi di Roma il 19 novembre 2025.


OMUS – Chiedi alla pelle di rispondere – Concept e Regia: Francesca Pennini; azione e creazione: Simone Arganini, Carmine Parise, Angelo Pedroni, Francesca Pennini, Stefano Sardi; canto: Stefano Sardi; sound design: Simone Arganini; produzione: con il sostegno di MiC, Regione Emilia Romagna.

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