Durante la proiezione della selezione ufficiale, nella fila di poltrone avanti alla mia stava seduta Elettra Caporello, dialoghista di Woody Allen e Martin Scorsese, mi sporgo in avanti e le chiedo cosa ne pensasse dei cortometraggi visti sinora, lei si gira verso di me, mi guarda e mi dice “belli questi cortometraggi, ma le commedie, le opere di comicità, che sono quelle che io preferisco, di quelle non ce ne sono tante” In realtà la selezione dell’Ennesimo Film Festival non ha deluso nemmeno da questo punto di vista, e direi a questo punto di partire proprio da uno dei corti che, sia noi che Elettra, abbiamo trovato tra i più divertenti.

Stiamo parlando dell’italiano Subtitles di David Barbieri, che si presenta con un divertessement simpatico ma (apparentemente) dal respiro corto: attraverso un’atipica rottura della quarta parete, gli attori, anziché consapevoli di essere osservati, diventano consapevoli di essere sottotitolati, (vedono letteralmente i sottotitoli inglesi comparire sotto di loro). Superato lo sconcerto iniziale, realizzano che pronunciare bestemmie produce effetti censori esilaranti sul mondo in cui si muovono, proprio questo secondo elemento si rivela vincente, ed assistiamo ad un’evoluzione rocambolesca che porta l’opera ad avere uno spessore farsesco ed una comicità ben superiore alle premesse iniziali. Voto 4 stelle (su 5).
Dalla leggerezza del corto italiano passiamo alla claustrofobia visiva di Cross my heart and hope to die, il corto filippino di Sam Manacsa, al quale continuo a ripensare per lo squallore delle ambientazioni, rese cupe da una fotografia che sembra voler trasformare ogni immagine in un grido soffocato. Un’impiegata riceve delle misteriose telefonate da parte di un uomo che apparentemente mostra interesse per lei, ma le cose non sono come sembrano. Voto 3 ½
Tensione ed angoscia anche nel franco-cileno Cuarto de Hora, di Nemo Arancibia, in cui una passante si ritrova ad aiutare un haitiano che subisce un grave incidente, tutto ambientato all’interno dell’ambulanza mentre il ragazzo viene portato in ospedale. I due conversano e durante quei pochi minuti cercano un contatto per rifuggire dal terrificante spavento delle precarie condizioni della vita umana. Il regista, che ha cominciato la sua carriera nel doppiaggio, mostra di avere le idee chiare, e si affida ad un’inquadratura unica per quasi tutto il tempo che i due trascorrono all’interno dell’ambulanza. Voto 3 stelle.

Veniamo ora all’islandese Fàr (Intrusione), di Gunnur Martinsdóttir Schlüter, corto più emblematico di tutto il festival, che in soli 5 minuti riesce a comunicare moltissimi elementi e, secondo il nostro parere, a costruire un discorso filmico estremamente potente: un gabbiano hitchcockiano sbatte contro la vetrata di un ufficio durante una riunione, e stramazza a terra, una delle donne prova l’incontrollabile impulso di uscire a verificarne le condizioni, assieme a lei giungono anche diversi bambini, l’atmosfera straniante e l’immagine tagliente ricorda molto da vicino il cinema di Ruben Östlund, per quel che ci riguarda, l’operazione è perfettamente riuscita. Voto 4 stelle.
La vicenda di Forgive me, Anya, di Klavdiya Korshunova, ci ha fatto ripensare a Festen, la magnifica opera dogma di Thomas Vinterberg, anche qui infatti, viene fatto un annuncio piuttosto scioccante durante un momento di festa, ben girato e recitato, gli manca forse qualcosa per avere uno spessore che possa imprimersi nel ricordo dello spettatore. Voto 3.
Good Boy, di Tom Stuart che si è portato a casa il premio per migliore interpretazione, contiene elementi interessanti soprattutto nel tono surreale utilizzato per illustrare l’elaborazione di un lutto. Uno di quei corti da rivedere per poter afferrarne appieno la simbologia. Voto 3 ½
Di The Film might be too white di Sebastian Johansson Micci, abbiamo già parlato nell’articolo precedente sui Premi, il corto racconta della realizzazione di un video promozionale di una scuola svedese a cui viene obiettato che gli studenti sono solo bianchi, e forse sarebbe stato il caso di “inserire” qualche comparsa di colore o etnia differente, tralasciando il fatto che effettivamente non fossero reali studenti di quella scuola. Il film illustra con sarcasmo e affilata ironia la problematica e l’ipocrisia connessa al delicato discorso dell’inclusione, affrontando la tematica con occhio critico e feroce. 4 ½
Nel rumeno The inheritance, di Marian Farcut, (che contiene una delle scene più esilaranti di tutto il festival), l’anziano di cui il nostro protagonista si prendeva cura viene trovato apparentemente morto, il suddetto badante deve riferire alla polizia l’accaduto e il suo resoconto si tramuta in un dispositivo comico che vede il nostro barcamenarsi in un racconto confusionario ed una esilarante ricostruzione mimica. voto 3 ½
Tits, il film del norvegese Eivind Landsvik ci ha fatto pensare al recente Piggy, uscito al cinema qualche mese fa, (anch’esso originariamente era un cortometraggio), anche qui infatti una ragazza, a seguito di un bagno, viene lasciata senza vestiti, in questo caso però il racconto è molto meno feroce e c’è spazio per un incontro inaspettato con un ragazzo timido e chiuso, che le presta la maglietta, basta questo ai due per una scoperta reciproca che potrebbe trasformarsi in qualcosa di più. Il film ha ricevuto anche la menzione speciale della giuria. Voto 3 ½
Mangata, di Maja Costa, si aggiudica l’altra menzione, non è un lavoro che ha incontrato eccessivamente il nostro favore, come già scritto precedentemente, inizialmente abbiamo una protagonista bambina, Alya, con il padre che attraversano il Mediterraneo su una nave che li porta dall’Africa all’Europa in cerca di un posto da poter chiamare casa, nella seconda parte Alya, ormai cresciuta, è diventata astronauta e si accinge ad una missione di recupero sulla luna, all’interno di una caverna lunare. Purtroppo il didascalico parallelismo tra il buio del labirinto cavernoso della caverna e quello, di anni prima, del mediterraneo, che non viene suggerito, ma sbandierato, banalizza così ogni elemento di suggestione, ed appesantisce il messaggio di fondo. A tema spaziale, gli abbiamo preferito il corto che è passato fuori concorso, nella rassegna che ha seguito l’incontro con Alessandro Coletta, il canadese Soleil de Nuit (ne parliamo più sotto).
Voto 2 ½.
Stesso discorso per Sealed Off, di Tianyu Jiang(Cina/Stati Uniti) che si sviluppa in maniera anche articolata e complessa, raccontando di un incontro casuale, all’interno di un tram, che si fa portatore di speranza ma anche di illusioni. I due protagonisti però, sono scritti in maniera poco convincente e non riescono a creare un reale legame con lo spettatore, si va alla ricerca di un lirismo e di un melodramma che non convincono del tutto. Voto 2 ½
Nothing Holier Than a Dolphin, la cui protagonista ha vinto il premio Artemisia, si svolge all’interno di una locanda di mare, gli avventori vengono coinvolti dalla messa in scena di un antico mito, che vede i protagonisti calarsi nei ruoli di pescatori e delfino, in una sorta di esercizio di improvvisazione teatrale, la cui resa, la credibilità, ed il significato ultimo lasciano tuttavia perplessi. Voto 2 ½
E’ difficile costruire un discorso critico sopra a Dog days, di George Hampshire, un cortometraggio di animazione di due minuti: Tim non è pronto a mettere fine alla sua relazione e cammina portandosi appresso la parte posteriore di un bassotto che divideva con la sua ex, l’animale continua ad allungarsi, a simboleggiare la difficoltà a liberarsi degli strascichi di una relazione. Lo stile di animazione non ci fa impazzire, e l’idea di partenza avrebbe dovuto svilupparsi in qualche modo per permettere all’opera di acquisire una qualche identità, ma ciò non accade. Si aggiudica il premio della giuria, ma per noi non è sufficiente. Voto 2 stelle.

Ben più alte le vette che raggiunge Beautiful Men di Nicolas Keppens, l’altro corto di animazione, stavolta in stop-motion, che non esitiamo a definire un piccolo capolavoro. Protagonisti sono tre fratelli in soggiorno presso un hotel in attesa di un trapianto di capelli, abbiamo trovato atmosfere estremamente poetiche che ci hanno fatto pensare al cinema di Roy Andersson, mentre i dialoghi buffi e delicati contengono un elemento inafferrabile di lieve malinconia, che rende questo cortometraggio una piccola perla. Voto 5 stelle.
Curl Zone di Helen Silvander, un corto simpatico e surreale dove madri istrioniche fagocitano completamente l’identità di figli che si lasciano sopraffare senza avere la forza di reagire. Al colloquio di lavoro infatti è presente il candidato con a fianco la madre che parla quasi tutto il tempo per lui. Ma le cose non stanno tanto diversamente per chi sta effettuando l’intervista… Ci ha ricordato l’originale opera di Pappi Corsicato, Il volto di un’altra. Voto 3 ½
Buffer Zone, di Savvas Stavrou, è una sorta di Joint Security Area (Park-Chan Wook) in salsa Cipriota, racconta della nascita di un’amicizia tra due soldati di fazioni opposte, che si ritrovano uno di fronte all’altro, ognuno a pattugliare la propria area. La chiave comunicativa che i due utilizzano è il canto, che si rivela però anche una sciagura per gli spettatori perché una volta cominciato, i due non la finiscono più, fino ad arrivare alla scena in cui, sempre cantando, spiccano il volo e si dirigono l’uno verso l’altro. Voto 2
L’olandese At a Glance, di Ruud Satijn, racconta una storia di pregiudizi in maniera singolare e piuttosto azzeccata, non tutti gli attori sono in parte, qualche battuta risulta fuori posto, ma ci sentiamo di salvare l’idea di fondo: un fattorino entra in una casa per una consegna e dentro vedrà qualcosa per cui dovrà prendere la decisione di intervenire o lavarsene le mani. Voto 3
Abbiamo lasciato per la fine due tra i migliori lavori, stiamo parlando del nord-macedone Are you a man? di Gjorce Stavreski, in cui seguiamo un bambino che si sottopone ad una prova di coraggio e attraversa i sobborghi malfamati per portare un accendino verso una destinazione ben precisa. Durante la sua missione il piccolo incrocia il suo cammino con quello di prostitute, piccoli delinquenti, spacciatori, che cercano ognuno a modo suo di ritrovarsi nel piccolo, idea semplice, svolgimento pulito, esattamente come dovrebbe essere un cortometraggio. Voto 4

Il polacco A Dead Marriage, di Michal Toczek, a nostro parere uno dei migliori del Festival, vede come protagonisti due extras, comparse, una di esse specializzata nell’interpretare cadaveri. Tra i due nasce un’intimità che viene espressa in maniera tenue e delicata attraverso i momenti sul set, nei quali, nonostante l’imperativo di dover rimanere immobili, i due cercano, e trovano, un avvicinamento, alimentando l’uno attraverso l’altro quella scintilla di vita e di dolcezza che entrambi avidamente desiderano. Voto 5

Il coreano Family Toast, di Kim Jun-hyung, come abbiamo detto, è uno dei migliori cortometraggi presentati in assoluto, uno script realizzato dall’autore quando ancora frequentava l’università e finanziato dal Korean film Council production fund project, è un buffissimo showdown familiare in cui madre e padre trovano una “strana sigaretta” tra gli oggetti della figlia, la situazione dà il via a una serie di gag che ruotano tutte attorno alla figura del padre, interpretato in maniera assolutamente esilarante da Jeong-sik Yu, tutto gira a meraviglia e c’è anche spazio, nel finale, per una riflessione un poco più profonda sulla quotidianità dei rapporti familiari. Ci ha completamente conquistato e quindi, anche per lui 5 stelle.
E per la selezione ufficiale abbiamo finito ma Ennesimo Festival è stato tantissimo altro e ci teniamo a raccontarvi tutto quello che di interessante abbiamo potuto vedere, a livello di eventi collaterali, workshop, seminari, e cortometraggi appartenenti ai premi collaterali.
Partiamo da un progetto che personalmente ho trovato estremamente interessante e necessario, che finalmente comincia a mostrare le potenzialità mediatiche di una tecnologia come la VR.
Sto parlando della trilogia di Gina Kim, Bloodless, Comfortless e Tearless, Un lavoro drammatico, crudo, a tratti spaventoso, fruibile attraverso un casco che lo staff mette a disposizione. Una volta indossato ci ritroviamo catapultati all’interno di questi luoghi fantasma, bordelli abbandonati, prigioni mediche situate nella corea del Sud , in cui donne abusate, rinchiuse, degradate riaffiorano con il compito di imprimere bene sulla retina del nostro inconscio ciò che è stato compiuto da parte dell’esercito americano in quelle strade e quelle stanze dimenticate da dio.
Una scena in particolare, merita di essere descritta: ci troviamo in mezzo a una stanza, nella quale è avvenuto un fatto tragico, l’intuizione più potente è quella di mettere la MDP quasi all’altezza del soffitto, un tatami-shot con assi invertite, ricreando una peculiarissima sensazione di sentirsi sospesi, sotto di noi, ai due lati della stanza, uno specchio ed una coperta dentro quale si intuisce un corpo. Questi due elementi saranno protagonisti di una narrazione silenziosa, ineluttabile, e terrificante.
Per quanto riguarda le selezioni collaterali, abbiamo già parlato del vincitore del premio di Sinofonie, il buon Fan Popo, presente al Festival, entusiasta e contento del suo meritato premio per Wegen Hegel, se la giocava a nostro parere con un altro cortometraggio degno di nota, anzi due: il primo, Thirteenth night, è più un esperimento visivo/uditivo, in cui una serie di conversazioni telefoniche vengono accompagnate da un commento visual-minimale in cui i soggetti sono rappresentati da due puntini, molto immersivo e suggestivo. L’altro invece, il cinese Deadline, di Guo Yapeng, raccontava di uno sceneggiatore in crisi che cerca disperatamente di sfruttare situazioni di pericolo per giustificare la mancata consegna del suo lavoro, ambientato all’interno di un ristorante, il film ricorre alla ripetizione dei punti di vista, à la Rashomon, condisce il tutto con un gustoso black humor, e ci diverte con un finale azzeccato. Voto 4

Segnaliamo anche Chuff Chuff Chuff, di Chao Koi Wang, un cortometraggio che sembra svolgersi all’interno di uno spazio altro, rarefatto e parallelo: un ragazzo e una donna all’interno di un vagone ferroviario intrattengono una strana conversazione, e dopo che il corto è terminato rimangono sospesi vari interrogativi sulla natura sia del vagone che della conversazione. Voto: 4
Oltre a Fan Popo, tra i registi ospiti c’era anche Rachida el Garani , vincitrice del Comix Award con il suo Rachid che, come abbiamo già detto precedentemente, affronta con registro leggero e tramite soluzioni di montaggio anche piuttosto complesse il dilemma di un giovane musulmano che, pur di non finire a lavorare come macellaio di pecore, si finge sciita (anziché sunnita) dando il via a una serie di conseguenze tragicomiche, l’approccio ironico a questioni anche piuttosto importanti come le divisioni interne del mondo religioso musulmano si rivela fresco e azzeccato.
Affari di Famiglia, (premio città di Fiorano) ha visto vincitore Last Call, di Harry Holland, il cortometraggio statunitense che aveva tra gli interpreti il fratello Tom Holland, si tratta di un lavoro visivamente interessante, punteggiato da qualche brillante intuizione di montaggio, penalizzato però da un soggetto piuttosto banale ed una scrittura prevedibile. Ci ha convinto a metà, gli abbiamo preferito l’altro americano Bienvenidos a Los Angeles, di Lisa Cole, ispirato ad una storia vera, ambientato all’interno di un taxi ed in un aeroporto in cui la tensione sale a causa di un controllo da parte della dogana che potrebbe mettere a repentaglio il ricongiungimento di una madre con il figlio. Girato senza fronzoli e senza particolari guizzi, racconta però una vicenda attuale con la giusta dose di pathos e coinvolgimento.
Della sezione Fuorifuoco abbiamo visto solamente i due corti dei registi presenti tra gli ospiti, entrambi a tema calcistico, il primo, l’ungherese Home Ground, di Akos-Paulo Vargà, poneva l’accento sull’azione attraverso un montaggio concitato e ritmico, che però lasciava lo spettatore leggermente interdetto, in quanto l’azione risultava mancante della connessione emotiva che avrebbe dovuto legare i personaggi al pubblico. Il secondo, il francese Pour l’amour du jeu di Clement Bonpart, racconta in maniera discreta e toni più pacati le difficoltà di un ragazzo che viene preso di mira da un paio di compagni di spogliatoio a causa della sua sessualità. Non manca comunque la tensione perché durante un casuale incontro i due “bulli” cominciano a mostrare atteggiamenti aggressivi e preoccupanti.
Siamo rimasti piacevolmente colpiti dell’interessantissimo seminario tenuto da Alessandro Coletta, Direttore di missione e responsabile di missione del sistema di Satelliti COSMO-SkyMed dell’Agenzia Spaziale Italiana, il maggiore investimento spaziale italiano mai realizzato, (si parla di 2000 milioni di euro), costituito da una costellazione di quattro Satelliti Radar ad apertura sintetica dedicati all’Osservazione della Terra. Alessandro ci ha raccontato come le immagini e i rilevamenti dello spazio siano estremamente utili a capire e anche prevenire ciò che potrebbe accadere in terra, e dell’eccellenza italiana in questo campo.
A fine seminario c’è stata una piccola selezione di cortometraggi a tema spazio, tra i quali segnaliamo sicuramente il canadese Soleil de Nuit, di Maria Camila Arias, e Fernando Lòpez Escrivà in cui un anziano Atikamekw interrompe un addestramento geologico in una miniera abbandonata con una strana richiesta, e ci riserviamo di recuperare The Syrian Cosmonaut, di Charles Emir Richards, che ci è sembrato estremamente interessante ma al quale abbiamo dovuto rinunciare per terminare la trilogia in VR.
C’è stato anche il tempo per partecipare a un workshop sull’intelligenza artificiale nel quale Giovanni Abitante e Demetra Torino ci hanno guidato attraverso le potenzialità narrativo-visive dell’IA, attraverso le quali è diventato possibile svolgere varie operazioni volte alla creazione di un prodotto audiovisivo. Al termine del workshop ci siamo sentiti piuttosto rassicurati dal fatto che la IA difficilmente sostituirà l’operato delle persone in campo prettamente creativo, ci pare, anzi, che possa rivelarsi un’interessante stimolo per noi, volto alla creazione stessa di nuovi paradigmi filmici e narrativi.
Siamo felici di aver partecipato ad un Festival che si conferma come realtà solida e vitale, che ha veramente la struttura, le potenzialità e i numeri per crescere sempre di più, ottima selezione, ospiti interessanti, tante sezioni diverse e tante iniziative collaterali, tutte con una precisa finalità e identità. Un plauso quindi alla direzione artistica di Federico Ferrari e Mirco Marmiroli e a quella organizzativa di Federica Ferro e Francesca Ferrari.
Ancora un enorme ringraziamento a tutto lo staff che ci ha ospitato e guidato, in particolare, per hospitality ed ufficio stampa ringraziamo Ernesto Bossù e Lara Melegari.
E non è finita qui, perché all’interno del Festival abbiamo anche avuto l’onore di fare una bellissima chiacchierata con Elettra Caporello, che pubblicheremo più avanti, sempre qui, su Close-Up.
