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Voto
I film sulla tauromachia hanno generalmente privilegiato il punto di vista del torero. Dall’epico Sangue e arena al più critico Il momento della verità, la centralità del soggetto umano era giustificata dal racconto di un destino di gloria, o di una tragica morte in nome di essa. Anche in Animale Umano viene riproposto tale punto di vista: César, figlio del celebre torero Eduardo, viene istruito per seguire le orme del padre, malgrado i dubbi, le ferite e una differente personalità. A questo punto di vista se ne aggiunge però un altro: quello del toro.
La vita del vitello Fandango è seguita passo passo per le sue tappe fondamentali: la brulicante infanzia per le praterie andaluse, la separazione dalla madre, la cattività imposta dall’uomo, il forzato e violento addestramento per diventare un vero toro da corrida. Anche Matteo da giovane ha perso la madre. Cresciuto lavorando come assistente in un’impresa di pompe funebri, rimane affascinato per televisione dalla morte di un torero e da lì decide di voler anche lui intraprendere questa strada: non il lustro del trionfo, ma una drammatica fine per il pubblico ludibrio.
I parallelismi tra il toro e i due giovani toreri servono ad avvicinare lo spettatore al punto di vista del toro, a riconsiderare meglio la sua prospettiva. Ma il regista rimane pur sempre abbastanza distante dall’animale, cogliendolo perlopiù per artificiosi campi lunghi realizzati con droni o indugiando al limite del compiaciuto sulle ferite infertegli dall’uomo. Non molto più empatico risulta nei confronti degli altri due protagonisti, utilizzati più come attanti di un destino inevitabile, carne da macello per uno spettacolare rituale o proiezioni auto-riferite di un mondo patriarcale che cerca solo di riprodurre sé stesso.
Questa critica al padre padrone decisore ultimo del destino dei propri figli e degli altri concittadini animali del nostro pianeta giunge più specificatamente (secondo l’autore, intervenuto a fine proiezione alla prima italiana del film qui al Festival di Bellaria, dove è in Concorso) a una condanna dell’istinto “di sublimazione, realizzazione e imposizione”. Poco interessato a esplorare le ragioni antropologiche e psicologiche di questo istinto, il regista mette in scena una complessa impalcatura per dimostrare il suo punto, indirizzando forzatamente la lettura e, in fondo, paradossalmente trasformandosi in un padre padrone per lo spettatore.
Facendo rivivere le peggiori abitudine di quel cinema post-kieslowskiano di moda tra metà anni Novanta e inizi del nuovo secolo, il film è diviso in capitoli, ognuno nominato secondo una definizione di animale o di umano (bestia, animale razionale, essere senziente, dotato di empatia, con un anima, di natura imperfetta) chiuso da un epilogo omonimo al film, e ogni capitolo è l’esposizione in forma di narrazione di queste definizioni attraverso i tre diversi percorsi dei protagonisti.

Questo intreccio tra morale e destino risulta però una buona idea solo sulla carta. La rigidità della struttura narrativa soffoca la vividezza dei corpi, la verità che abita in loro, finendo per trasformare anche i protagonisti, la cui esistenza si voleva redimere, in caricature di sé stessi, in pedine di un altro gioco. Se l’ondata di cinema ambientalista in questi ultimi anni ha permesso di scoprire impensate angolazioni e dare nuova linfa ad abusate narrazioni, d’altro canto ha sdoganato un rinnovato calligrafismo. Ennesima dimostrazione che i buoni film non si producono solamente con le buone intenzioni, ma a contatto con il sangue e la sabbia, come nei migliori film sulla tauromachia.
In sala da giugno 2024
Animale Umano – Regia: Alessandro Pugno; sceneggiatura: Alessandro Pugno, Natacha Kucic; fotografia: Alberto Centeno; montaggio: Enrico Giovannone; scenografia: Elisabetta Ajani; musiche: Giorgio Ferrero, Rodolfo Mongitore; interpreti: Ian Caffo, Silvia Degrandi, Paola Sotgiu, Guillermo Bedward, Donovan Raham, Antonio Estrada, Brontis Jodorowsky, Juan Quiñones; produzione: Jose Alba per Pecado Films, Natacha Kucic per First Draft, Daniele Segre e Daniele De Cicco per Redibis Film, Paola Herrera per Una Comunión; origine: Italia/Spagna/Messico, 2023; durata: 92 minuti; distribuzione: Draka Distribution.
