Castelrotto è il nuovo film diretto da Damiano Giacomelli (nella foto di copertina sul set con Giorgio Colangeli), che sarà proiettato sabato 9 giugno, presso il Cinema Delle Province di Roma. Lo abbiamo intervistato per saperne qualcosa di più su questo film indipendente che si sta autodistribuendo in Italia.
Domanda: Come nasce l’idea del tuo film? Puoi descriverci il lavoro di scrittura che vi è dietro?
Damiano Giacomelli: Castelrotto nasce dall’interesse per la cronaca locale del mio territorio. Il materiale che ho raccolto ho iniziato poi a viverlo attraverso un filtro: lo sguardo di Ottone, il protagonista del film. Questo cronista locale animato dal rancore per un brutto episodio del suo passato mi ha subito conquistato anche per le contraddizioni che portava con sé. All’inizio sembra condurre una battaglia ultra-conservatrice contro una famiglia di calabresi che elegge a suoi nemici giurati. Man mano che la sua indagine va avanti però, paradossalmente Ottone riscopre passioni che parevano sopite, rendendo la seconda parte del film più aperta, con momenti anche onirici, nella piena espressione della sua natura. Dopo un lungo e saltuario periodo di ricerca in cui non sapevo ancora che questo sarebbe diventato il mio primo film a soggetto, il lavoro di sceneggiatura vero e proprio si è svolto principalmente tra il 2019 e il 2020.
Puoi descriverci brevemente il lavoro che hai portato avanti con gli attori?
Si tratta in qualche modo di un film di personaggi. L’ambientazione paesana rafforza questo aspetto, collegando alle vicende di Ottone un sistema più ampio di compaesani e visitatori, che conferisce una dimensione corale a gran parte del mio lavoro. Sono partito dal confronto con Giorgio Colangeli, che compare nella stragrande maggioranza delle scene. Poi abbiamo lavorato per completare il cast nel modo più organico possibile, rifinendo la scrittura ad ogni nuova entrata. Oltre alle prove, un aspetto centrale è stato amalgamare il contributo dei grandi professionisti che partecipano al film con la partecipazione di tanti interpreti alla prima esperienza, che spesso vivevano nel territorio in cui abbiamo girato. La chiave per la riuscita di questo processo viene dall’umiltà dei primi nell’accogliere i secondi e più in generale dal clima comunitario che si era instaurato durante le riprese.

Quali sono state le difficoltà riscontrate e quali sono stati gli impedimenti sul set con cui non ti aspettavi di interfacciarti nel momento di scrittura?
I precedenti progetti di cortometraggio e documentario mi hanno dato una certa abitudine a integrare già in scrittura quelli che possono essere i limiti di una produzione a low budget. Per questo direi che nei limiti del possibile siamo arrivati pronti alla lavorazione. Un problema è stato sicuramente girare durante l’ultimissima fase dell’epidemia di Covid, che ci ha costretti a interrompere la lavorazione dopo due settimane per diversi contagi nella troupe. La ripresa è stata possibile senza perdere la dimensione del progetto soprattutto grazie allo spirito comunitario che si era creato tra cast e troupe, complice anche un percorso comune con molti di loro negli anni precedenti.
Come sta procedendo la distribuzione del film? Come commenteresti i risultati sinora ricevuti e quali aspettative attualmente hai?
Trattandosi di auto-distribuzione, i risultati ci hanno favorevolmente sorpreso. Castelrotto è uno dei film con i migliori incassi tra le opere prime italiane uscite nei principali festival con budget ufficiale inferiore ai due milioni di euro ed è stato programmato in alcune delle migliori sale in tutta Italia. Oltre all’ottima accoglienza all’anteprima del Torino Film Festival del 2023, il film è anche stato premiato al Sudestival con Giorgio Diritti presidente di giuria e al Milazzo Film Festival diretto da Mario Sesti e Caterina Taricano. Abbiamo ancora in programma di partecipare ad altri festival nazionali e dopo l’estate inizieremo a proporre il film anche fuori dall’Italia.
Infine, come si inserisce Castelrotto all’interno della tua formazione e filmografia?
Finora la mia tendenza è sempre stata ripartire da zero ad ogni nuovo progetto e lo sento ancora come l’approccio più sano verso questo lavoro. D’altra parte, è normale che le esperienze pregresse creino dei residui che possono riprendere vita nei lavori successivi. Questo vale per le soluzioni di messa in scena, così come per i temi e più in generale per un immaginario di riferimento. Finché ci sarà il giusto equilibrio tra interessi sedimentati e nuovi stimoli penso che varrà la pena continuare il percorso.
