Invisible Nation (2023) esplora la complessa realtà politica, sociale e culturale di Taiwan, la sua lotta per il riconoscimento internazionale e la sua determinazione a mantenere una democrazia fiorente nonostante le pressioni esterne da parte della Cina, che si ostina a considerare Taiwan come parte della Repubblica Popolare Cinese.
Il documentario segue da vicino le elezioni del 2016, quando Tsai Ing-wen è stata eletta Presidente di Taiwan, prima donna nella storia di Taiwan a ricoprire tale ruolo, in un momento che ha segnato una svolta significativa per il paese. La regista Vanessa Hope, insieme al suo team, offre uno sguardo ravvicinato della politica taiwanese, dei movimenti sociali e della protesta del popolo taiwanese di fronte alle minacce della Cina continentale, che rifiuta categoricamente a Taiwan il riconoscimento di stato indipendente.
Taiwan, in effetti, si presenta come modello di democrazia progressista non solo in Asia, ma a livello mondiale vero e proprio. L’ultimo rilascio dell’Indice di Democrazia 2023, avvenuto il 15 febbraio dall’Economist Intelligence Unit, e costruito su cinque categorie chiave: libertà civili, processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica e cultura politica, vede Taiwan classificarsi decima su 167 paesi e territori analizzati.
Il documentario, realizzato in maniera impeccabile, conferma la solidità narrativa e registica di Vanessa Hope, già mostrata nel precedente All Eyes and Ears (2015). Il marito Ted Hope, produttore navigato, l’ha accompagnata in questo viaggio, e i due sono stati ospiti al XX° Biografilm Festival. In quest’occasione abbiamo avuto la possibilità di conversare riguardo alla loro opera, allargando poi il discorso e arrivando ad analizzare il modo in cui la politica rappresenta se stessa, le minacce geopolitiche attuali, le tensioni tra paesi più problematiche, e la ricerca di soluzioni globali.
Close-Up: Il vostro è un documentario veramente importante. Mi sembra di capire che ci sono voluti sette anni per realizzarlo. Come siete riusciti a superare le innumerevoli problematiche legate a realizzare un lavoro su di un tema così delicato?
Vanessa Hope: Ero a Taiwan nel gennaio 2016 quando il presidente Tsai Ing-wen è stata eletta per la prima volta. Quel momento storico mi ha colpito profondamente. Mi chiedevo come una donna potesse guidare un partito democratico e progressista in un paese come Taiwan in quel periodo. Diverse ricerche dimostrano che il coinvolgimento delle donne nei negoziati di pace porta a risultati più duraturi. Inoltre, nei paesi dove le donne godono di pari diritti, si registra meno violenza e conflitti. Questi aspetti erano molto significativi per me e speravo che interessassero anche il pubblico. Abbiamo sviluppato una proposta e l’abbiamo presentata all’ufficio del presidente con l’aiuto di Sylvia Fung, una produttrice locale. È stato un lungo processo. Ho dovuto aspettare sei mesi per ricevere l’approvazione dell’ufficio del presidente. Quando mi hanno invitato a tornare a Taiwan nell’aprile 2017 ho finalmente avuto l’opportunità di incontrare il presidente.
Durante quel primo incontro, ci siamo seduti a un lungo tavolo nel suo ufficio. Non stavamo ancora girando, ma stavo solo presentando la nostra proposta. La sua squadra l’aveva esaminata a fondo per ben sei mesi. Alla fine, dopo aver ascoltato la nostra presentazione, la presidente ha annuito quasi impercettibilmente e se ne è andata, nella stanza è calato un silenzio profondo, e poi c’è stato un applauso: aveva approvato! Eravamo molto emozionati. Nessuno di noi sapeva veramente cosa aspettarsi, non sapevamo se avremmo effettivamente ottenuto un film alla fine di tutto questo processo.
Dopo quel primo incontro di Aprile, abbiamo ricevuto il via libera per girare per cinque settimane durante la campagna del Presidente. Durante il mio primo documentario come regista e produttrice (All Eyes and Ears, 2015) avevo lavorato con l’ambasciatore americano in Cina durante l’amministrazione Obama, esplorando le complesse relazioni tra Stati Uniti e Cina. Ho viaggiato in tutta la Cina per comprendere le relazioni diplomatiche tra i due paesi.
A questo proposito, ricordo che in quel Gennaio 2016 ti eri unita a una delegazione internazionale per monitorare le elezioni a Taiwan. Come è stata l’esperienza? Mi ha colpito un tuo commento in cui dicevi che se avessi fatto un film riguardo al modo in cui i diversi paesi interagiscono tra loro attraverso la diplomazia, sarebbe stato una commedia. Quindi la mia domanda è: come viene gestita la diplomazia? In base a ciò che hai visto, ritieni che sia effettivamente gestita in modo efficace oppure spesso si tramuta in un esercizio sterile e a tratti grottesco?
Vanessa Hope: Ti ringrazio per la domanda e per la menzione a quella mia esperienza. Ero una delle poche donne in quella delegazione, composta da persone provenienti da vari paesi. E sì, per certe cose mi è sembrata proprio una commedia.
È stato interessante notare le modalità con cui ogni paese si presentava nel proprio consolato a Taiwan, quasi a riflettere il carattere del paese stesso. Ad esempio, quello americano era fortemente militarizzato e sembrava una fortezza: c’era filo spinato, controlli di sicurezza da superare, ci hanno sequestrato le macchine fotografiche, e tutti nella stanza indossavano abiti militari. Nell’Unione Europea, invece, c’era una donna a capo. L’ambiente era una tavola rotonda, molto inclusiva e calorosa, dove tutti potevano partecipare.
I cliché quindi sono reali!
Vanessa Hope: Sì, in realtà i cliché esistono davvero! La politica estera e la diplomazia degli Stati Uniti sono affascinanti. Mi viene in mente un libro che ho molto apprezzato, Grand Strategies of the Left: the Foreign Policy of Progressive World Making di Ben Jackson. L’autore ha lavorato al Pentagono durante l’amministrazione Obama e ha contribuito a varie campagne per Biden e Warren, e sostiene chiaramente che gli Stati Uniti non hanno mai dato priorità alla democrazia, alla pace, ai diritti umani e alla diplomazia nella nostra politica estera. È un problema enorme, evidente ora al mondo, con la situazione a Taiwan. Speriamo che il nostro film possa aumentare la consapevolezza e portare a una migliore soluzione diplomatica per il futuro di Taiwan.

Ted Hope: Siamo stati fortunati nel 2022, quando l’invasione russa dell’Ucraina ha portato maggiore attenzione su Taiwan. Questo ha contribuito a ottenere finanziamenti e il supporto necessario. Un team di montaggio taiwanese eccezionale si è unito a noi, e abbiamo proiettato il film per la comunità taiwanese tra luglio 2022 e febbraio 2023. È stato un passo importante, poiché molte persone non conoscono ancora la vera storia di Taiwan.
Vanessa Hope: E penso che ora sia un problema enorme, enorme. Speriamo che condividendo il film, viaggiando e facendo queste conversazioni, stiamo aumentando la consapevolezza in modo che ci possa essere una possibilità per una migliore soluzione diplomatica per Taiwan per il suo futuro.
Molte persone non capiscono neppure la differenza tra Thailandia e Taiwan. Gli Stati Uniti hanno offuscato la vera storia di Taiwan, e lo stesso ha fatto la Cina. Sai, la maggior parte delle persone ancora non sa che Taiwan è un paese. Non sanno che non fa parte della Cina. È come la storia americana sul razzismo e sulla schiavitù.
Viviamo in un’epoca di equilibri geopolitici complessi e delicati. La situazione in Palestina sta diventando sempre più critica. Ho notato che, mentre Cina e Russia riconoscono lo stato di Palestina, Taiwan, al contrario, non riconosce la Palestina, nonostante mi pare ci siano diverse similitudini tra le due situazioni. Eppure, molti taiwanesi hanno protestato in solidarietà della popolazione ucraina, ma meno a favore di quella palestinese.
Vanessa Hope: Hollywood è molto filo-israeliana. Io sono di origini ebraiche, in realtà. Ma credo che ciò che hai detto sia corretto: l’invisibilità e la mancanza di riconoscimento ufficiale da parte delle principali organizzazioni internazionali e dei principali paesi nei confronti di Taiwan è molto simile al trattamento riservato alla Palestina. E conosco molti gruppi a Taiwan che sono molto solidali con la Palestina. Il New Bloom Magazine, ad esempio, è molto progressista. Wen Liu (che compare nel nostro documentario) e Brian Hioe, due dei fondatori, hanno scritto un bellissimo saggio spiegando quanto Taiwan e la sua situazione siano simili a quella della Palestina. (Geopolitical realignment and anticolonial solidarity in a time of war, Wen Liu and Brian Hioe, 24 Maggio 2022)
C’è libertà tra i leader di Taiwan di esprimere solidarietà alla Palestina? Non lo so, ma sembra una questione riguardante la precarietà della situazione di Taiwan, e sto parlando di un potenziale bisogno di sostegno dagli Stati Uniti.
Penso che le elezioni di quest’anno a novembre negli Stati Uniti determineranno se riusciremo a mantenere la nostra democrazia; è questa la posta in gioco.
E penso che la Cina stia guardando, penso che molti paesi stiano guardando per vedere cosa accadrà, perché se Trump dovesse tornare, tutti nel mondo dovrebbero preoccuparsi, compresi tutti negli Stati Uniti. Penso che la situazione geopolitica israelo-palestinese sia molto più complicata, e la Cina non è solo a favore della Palestina; ha molti altri interessi nella regione e ha effettivamente sostenuto Israele. Non è nel loro interesse, né per la Russia né per la Cina, vedere risolto pacificamente o rapidamente il conflitto israelo-palestinese. È nel loro interesse tenere i paesi occidentali impegnati.
E il pericolo di queste elezioni è che la gente negli Stati Uniti potrebbe non votare per Biden, anche se Trump è l’alternativa. Un cessate il fuoco è assolutamente fondamentale e questo spargimento di sangue è orribile e deve finire. E Biden non è abbastanza forte e chiaro su questo. E questo si ricollega a ciò che dicevo su come gli Stati Uniti hanno costruito la loro politica estera in generale. Non sta dando priorità alla democrazia, ai diritti umani e alla pace. E questo è ciò di cui ha bisogno la situazione in Ucraina, la situazione Israele-Palestina e altre. Sono guerre. Hanno bisogno di pace, di negoziati e di una qualche forma di diplomazia per risolvere la situazione.
Mai fidarsi di un leader totalitarista di destra. I loro interessi non sono mai ciò che dicono di essere. E direi che a Taiwan c’è una vasta popolazione molto solidale con la Palestina. La storia di Taiwan è molto particolare. Ma ricordate, furono Chiang Kai Shek e il Partito nazionalista cinese a fuggire dalla guerra civile con i comunisti, e quando sbarcarono a Taiwan, la misero sotto la legge marziale per 38 anni per poter riconquistare la terraferma. E paragonarono Taiwan a Israele. Quindi, l’educazione di Taiwan proveniente dalla Cina è stata orientata dal partito nazionalista cinese KMT. A Taiwan è stato insegnato a pensare di essere come Israele. Un parallelismo dannoso e profondamente inesatto.
Invisible Nation – Regia e sceneggiatura: Vanessa Hope; fotografia: Laura Hudock; montaggio: Ku A-Ming,Dave Henry,Justice Yong, Siuloku O; musica: Wei-San Hsu; produzione: Double Hope Films, Seine Pictures, 100 Chapters; origine: Stati Uniti, 2023; durata: 104 minuti; distribuzione: Abramorama
