Shukran di Pietro Malegori

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Siamo in Siria, durante gli avvenimenti della recente guerra civile che ha dilaniato e devastato, come sempre e ancora una volta, coscienze mobili e strutture immobili del paese. In una Damasco di cui resta davvero poco (non a caso il film è pieno di riprese, via droni, della città vista dall’alto), una tra le ultime istituzioni pubbliche e civili che resta in funzione è l’ospedale pediatrico. Qui troviamo Taher, cardiochirurgo infantile, che indefessamente opera e cura bambini che giungono nella struttura in condizioni, si può immaginare, disperate. Dall’aspetto, Taher sembra essere il tipico uomo di scienza che, in modo quasi freddo e doverosamente distaccato, sente e deve seguire i dettami della sua disciplina esatta. Insomma, la sua vita pare essere scandita solo dai numeri, quelli dei piccoli pazienti che riesce, con la sua équipe, a salvare come anche quelli delle esigue bombole d’ossigeno che di volta in volta ha a disposizione per i suoi interventi. In ciò assomiglia un po’ al matematico Krzysztof del Decalogo di Kieślowski. Infatti, anche lui si mostra lontano dai sentimenti e, soprattutto, sembra essere non legato a una confessione. E così la vita di Taher prosegue, tra un intervento e un altro, vivendo in una stanza d’albergo.

A rompere questo schema a orologeria, è una visita che il fratello Ali una sera gli fa. Qui lo spettatore ha di fronte a sé due mondi profondamente diversi che s’incontrano. E ciò si avverte subito. Sebbene fratelli (stessa madre, stesso padre; ma non è una novità: la Storia ne è piena di storie così), i due legati sin dall’infanzia vedono le cose da due prospettive assai diverse. Se Taher, appunto, è rivolto più alla “materia”, Ali guarda maggiormente allo “spirito”. E quest’ultimo è lì proprio per una questione che tocca nel profondo l’intimità: salvare il piccolo Mohamed, gravemente malato di cuore, che abita in un piccolo villaggio dove (come se non bastasse) suo padre procaccia persone (d’ogni età) disposte alla Jihād. Queste due facce, proprie di una realtà sociale come quella della Siria in guerra, hanno tutto il potenziale per trasformarsi in una vera e propria bomba emotiva per Taher.

Prima di tutto, c’è da evidenziare un elemento, che anche il fratello Ali nella loro conversazione gli fa presente, ovvero il fatto che Taher non conosce cosa sta accadendo effettivamente nel paese. Lo sa di conseguenza nella sua sala operatoria. Ma appunto conosce un effetto, non vive tutti i giorni il teatro degli avvenimenti. È chiuso, anche se nobile, nel suo mondo. Ma c’è dell’altro, e anche più arcano in un certo senso. Nella storia che Ali racconta a Taher s’intrecciano quest’ultimo due questioni che dentro di lui fanno scintille: salvare un bambino malato (e come per lui rifiutarsi?) e salvarlo da chi (addirittura il padre) alimenta una lettura nefasta dell’Islam. Se la prima non si discute, la seconda lo trova incapace, dal punto di vista sentimentale, di restare lucido e analitico come in fondo è. Non ha alcuna intenzione di entrare nel mezzo e nei meandri della seconda questione: per lui è irrazionale, dunque non è (per dirla con il grande Hegel). E dunque rifiuta di aiutare il fratello e lo lascia andare solo. Questa presa di posizione gli ritorna, con tutti gli interessi, e non lo lascia tranquillo nemmeno quando torna ad operare. Eh sì, perché Ali, nel recarsi senza Taher nel tentativo di salvare il bambino, resterà vittima di un attentato terroristico (che lo stesso padre di Mohamed ha provocato a un posto di blocco, facendosi esplodere un ordigno, nascosto sotto le vesti mentre era in auto).

La perdita di fratello, le complesse radici culturali che lo hanno fatto adulto, il suo mestiere di medico: tutto insieme avvia un processo interiore che porterà Taher a nuove consapevolezze e, soprattutto, a nuovi punti di vista su ciò che lo circonda, che finalmente incomincia a vedere coi propri occhi e col proprio cuore. Non bastano la determinazione e la chiarezza per afferrare la complessità del reale: in tutte le sue contraddizioni e incongruenze ciò che è va affrontato nella sua totalità per essere in qualche modo superato. Ecco ciò che accade a Taher. Riuscirà a trovare Mohamed e a fare quello che sa fare: operarlo. Ovviamente, lasciamo da parte ogni riferimento diretto al finale di questa storia che, ancora una volta, ci ricorda che, per andare oltre, bisogna oltrepassare ogni cosa, senza soffermarsi eccessivamente sulle convinzioni già assodate e perciò non sempre utili. È necessario attraversare il dolore, senza sconti, per poi ritrovarsi. Bisogna andare al di là di se stessi, spellarsi (come scriveva Nietzsche), dimenticarsi del sé (come faceva vedere in scena Carmelo Bene), fuoriuscire dai cardini di ciò che siamo. Una curiosità a latere: il film è stato girato nel Salento, tra le zone di Gravina di Ginosa e di Altamura, dove sono stati ricostruiti i luoghi del conflitto siriano.

 In sala il 7-8-9 luglio 2024


Shukran – Regia: Pietro Malegori; sceneggiatura: Pietro Malegori, Alessandro Valenti, Elia Adami, Francesco Lefons, dal romanzo omonimo di Giovanni Terzi del 2016; fotografia: Tommaso Fiorilli; montaggio: Cecilia Zanuso; musica: Serena Menarini, Alessandro Branca;; interpreti: Shahab Hosseini (Taher), Abdelhafid Metalsi (Ali), Antonio Folletto (Dr. Arpe), Syrus Shahidi (Marwan), Camélia Jordana (Jala), Hania Amar (Fatwa), Slimane Dazi (Abu Marwan), Husam Chadat (il padre di Taher), Kassem Al Khoja (Yasser al-Rawi), Simone Potenza (soldato), Mustafa Sardan Safin, Shahrayar Sardan Safin;  produzione: Guia Invernizzi Cuminetti, Emanuele Berardi, Angelo Laudisa per Addictive Ideas, 3 Marys Entertainment, Rosebud Entertainment Pictures; origine: Italia/Francia, 2023; durata: 90 minuti; distribuzione: Eagle Pictures.

 

 

 

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