
Il primo film della irachena Kurdwin Ayub, Sonne (Sole, 2022) – premiato alla Berlinale nella sezione “Encounters”, come miglior lungometraggio d’esordio – parlava di una famiglia musulmana, che va a vivere in Europa. Con questo Mond (Luna), invece, la regista racconta di una donna austriaca, che per lavoro si trasferisce in un paese islamico.
La vicenda inizia con Sarah (Florentina Holzinger), una lottatrice di arti marziali, che deve lasciare i combattimenti per forza maggiore. Per sbarcare il lunario, diventa una coach, e lascia l’Austria per allenare tre sorelle di una ricca famiglia in Giordania. Quello che sembrava essere un lavoro da sogno, nasconde, invece, molti lati inquietanti. Vediamo la donna europea confrontata con le tre ragazze, che sono tagliate fuori dal mondo (niente internet, guardie del corpo e sorveglianza a vista) e per nulla interessate allo sport che gli si propone. Quando la protagonista si ritrova con loro a fare shopping o a guardare soap opera in arabo, si chiede come mai l’abbiano ingaggiata, ma lo scoprirà solo quando presterà il suo smartphone a Nour (Andria Tayeh) la sorella definita spesso come “problematica”.
Kurdwin Ayub ha raccontato di aver scelto la protagonista, Florentina Holzinger, che non aveva mai partecipato ad un film, perché cercava una persona che avesse davvero a che fare con le arti marziali. Abbiamo fatto delle scene molto lunghe. Nei miei film, giro dall’inizio alla fine, di modo che gli attori possano dimenticarsi della presenza della camera per dare spazio all’improvvisazione. Non cambio le persone quando dirigo, tutti i personaggi fanno le cose come penserebbero di farle in realtà, e mi piacciono così come sono. Hanno differenti sembianze, perché sono persone diverse, che caratterizzano i personaggi.
Dato che la regista ha dovuto lasciare l’Iraq con la sua famiglia, le è stato chiesto se c’era qualcosa di autobiografico nel film. Al che ha risposto: quando scrivo, mi faccio ispirare dalla mia storia personale e dai miei sentimenti. Noi siamo fuggiti, ma volevo raccontare delle donne che vivono in quella cultura. In realtà, volevo girare in Iraq, ma dato che non è un luogo sicuro, ho scelto la Giordania, paese confinante che amo particolarmente. Qui abbiamo fatto un anno di casting, ma spesso le attrici, sapendo che il film sarebbe stato proiettato anche all’estero, non accettavano di essere scritturate. Poi ho incontrato Andria Tayeh, attrice giordana già nota per la serie Netflix AIRawabi School for Girls, che mi ha consigliato anche Celina Sarhan e Nagham Abu Baker per le altre sorelle. Abbiamo un distributore anche in Giordania, e alla fine sono stati fieri del film anche lì.
La protagonista Florentina Holzinger ha aggiunto: interpreto un personaggio molto diverso dagli altri. Già di partenza, ho avuto un approccio differente, anche se non so quale, perché non ho esperienza da attrice. Ho capito i sentimenti provati dal mio personaggio, e anche senza script, ho pensato che fosse entusiasmante. Per me non era facile avere a che fare con la camera, ma Kurdwin Ayub mi ha dato la possibilità di essere me stessa sul set. Mi è stato di aiuto anche il viaggio che abbiamo fatto insieme prima di cominciare il film, per capire come sarebbe stato il processo delle riprese.
Mond ci sembra un’opera completamente diversa da quanto spesso visto in precedenza. La nostra natura “occidentale” ci porta a pensare che se l’europeo di turno si trasferisce in un paese di matrice islamica, magari proprio presso un gruppo di ragazzine recluse, diventerà l’eroe della storia. E le salverà e le porterà a chiedere asilo in Europa. Forse anche grazie al suo passato, Kurdwin Ayub ha compiuto una scelta diversa e molto realistica. Nel suo film non troveremo né romanticismo né luoghi comuni, e le cose non sono mai quello che sembrano.
Le scene sono girate quasi tutte frontalmente, in modo molto documentaristico ma questo stile “naturalistico” non fa mancare azione e colpi di scena al film. Vediamo subito due mondi opposti: da una parte Sarah, la coach, che viveva in Austria ma non poteva raggiungere il suo sogno di combattente, e dall’altra le sorelle, delle ragazze che per davvero sono combattenti, perché ogni giorno lottano con la loro realtà, il loro sistema e con quanto significa essere donne per la loro famiglia. Si tratta dunque di un lungometraggio crudo, che porta sullo schermo una grande sofferenza, un amore familiare quasi insolito, con un fratello ambivalente (amorevole ma che punisce le sorelle picchiandole), una sorella reclusa pericolosa per sé stessa e per gli altri, e un’altra che vuole sfogarsi picchiando tutti, ma è la prima ad avere paura se qualcuno la sfiora… Potremmo definirlo, più che un film sulla fuga dalla realtà, un’opera che affronta la violenza da diverse angolazioni: quella espressa da Sarah a livello sportivo, quella di altri al di fuori del ring (le sorelle che si sfogano), quella che si vede in superficie o che pubblicamente non si nota affatto (il caso del fratello).

Altra presenza da un paese islamico, il tunisino Ala Eddine Slim si era fatto prepotentemente notare con il film di debutto Akher Wahed Fina (The Last of Us) che aveva ricevuto diversi premi (ad esempio il Luigi de Laurentiis Venice Award alla Mostra di Venezia del 2016) e una nomina agli Oscar nella categoria Miglior Film in Lingua Straniera.
La storia del suo terzo lungometraggio Agora ruota attorno a un mistero. Tre persone, scomparse da anni, riappaiono in uno sconvolgente stato nel quale non si capisce se siano vivi o morti. Dato che la loro apparizione spettrale potrebbe turbare l’equilibrio del Paese, il protagonista Fatih (Neji Kanaweti) rinchiude i tre in una cella frigorifera, per farli analizzare dal Dottore (Bilel Slatnia). La notizia, che doveva restare segreta, in qualche modo trapela, e così vengono coinvolte molte persone nella vicenda che si ingarbuglia sempre di più. Appare allora anche un commissario (Majd Mastoura) della misteriosa sezione 19, per indagare sull’accaduto ma dato che non è in grado di gestire il problema da solo, coinvolge l’imperscrutabile figura di “Dada” (Sonia Zarg Ayouna), una donna molto simile a lui. Tutto ciò accade nel sogno immaginario di un cane blu e un corvo nero.

Ala Eddine Slim: Ho portato avanti questo progetto come un film di passaggio, è il mio primo con molti attori e dialoghi tra esseri umani, e anche tra animali. Nei miei due film precedenti privilegiavo i rapporti visuali tra i personaggi. Qui ho sperimentato un modo intellettuale di messa in scena. In realtà non so mai come scelgo il mio metodo di lavoro, per me tutto è consentito. Azioni, situazioni, anche se illogiche, perché tutte le storie possono essere raccontate in qualche modo. Ovviamente, discuto con i miei collaboratori delle mie idee, e cerco di inserire tutto in un universo “logico” per lo spettatore. Il tipo di cinema che mi interessa non vuole dare delle risposte, lavoro per fare delle domande a me stesso, anche per questo motivo voglio che ci sia una parte di mistero. “E perché no?” – questa è l’unica regola con cui faccio i miei film. Viceversa, uso pochissimo gli effetti speciali, in quel caso mi sono fatto aiutare da DigitalDistrict.
Come nei film precedenti, anche in Agora compaiono dei cani randagi: ci sono in tutti i miei film – ha detto –, perché ho un’adorazione speciale per loro, che sono mal accolti, vivono in mezzo alla strada e sono senza una dimora … Metto in scena sempre degli animali, ma i principali sono i cani, questa volta il protagonista è un cane blu che per me rappresenta la nostra umanità.
Agora , un film misterico e sensuale su un’inquietante invasione invisibile, si apre con un corvo nero e un cane che comunicano fra loro. Tramite varie metafore e l’allegoria di una maledizione, il regista costruisce un thriller (o mistery) – fantasy, che colpisce per l’atmosfera surreale, i colori, il montaggio e anche la musica, scelta per aumentare la tensione. Oltre i tantissimi personaggi, enigmatici o meno, troviamo anche molti segni, quasi troppi per riuscire a seguirli tutti: creature che tornano in vita, la moria dei pesci, il cibo che marcisce, un concatenarsi di eventi che sembrano quasi un riferimento alle piaghe bibliche.
Una figura importante nel film è quella dell’imam, volto a tranquillizzare la popolazione dalla paura degli “alieni”, che predica la calma mentre l’adhān, la chiamata alla preghiera fatta dal Muezzin, risuona dal minareto, di notte, in un paesaggio deserto. Inoltre, è molto legato alla natura, anche quando deve affrontare situazioni politiche e sociali. In Agora vediamo dunque l’incapacità dell’essere umano di superare i problemi irrisolti del passato e tale “stupidità” viene evidenziata nei vari dialoghi tra il corvo e il cane.
Foto della conferenza stampa Stéphanie-Linda Maserin
