-
Voto
Avevamo lasciato Freud con gli occhi spiritati di Montgomery Clift nel film di John Huston del 1962 (Freud – The Secret Passion, con sceneggiatura enorme, scritta originariamente da Jean Paul Sartre, poi rifiutata dal regista) alle prese col suo tentativo di sperimentare ipnosi e talking cure e affermare la psicoanalisi di fronte alle alte gerarchie accademiche viennesi; avevamo lasciato Freud interpretato da Viggo Mortensen sancire la – per entrambi – dolorosa separazione dall’allievo ed erede designato Carl Gustav Jung, interpretato da Michael Fassbender nel film di David Cronenberg del 2011 (A Dangerous Method con l’ebrea russa, psicoanalista anch’essa, Sabine Spielrein, seguace dell’uno nonché prima paziente e poi amante dell’altro, interpretata da Keira Knightley e il famigerato Otto Gross, uno dei primi seguaci di Freud ad avere il coraggio di staccarsene, lo interpretava Vincent Cassel); avevamo lasciato Freud (Robert Finster) nell’omonima serie austro-germanica-ceca del 2020 (produzione e distribuzione Netflix), nella quale il giovane, prossimo inventore della psicoanalisi finiva in un intrico di casi criminali.
E adesso ci troviamo davanti a Freud – L’ultima analisi di Matt Brown. Siamo nei primi di settembre del 1939, il padre della psicoanalisi, è riuscito fra mille turbolenze e grazie a un’azione diplomatica internazionale a scampare agli sgherri nazisti, e adesso, raggiunta la veneranda età di 83 anni, si ritrova, malato terminale (cancro alla mandibola), a venti giorni dalla morte, in esilio in una Londra che sta entrando in guerra.

Freud riceve la visita di un professore di Oxford che risponde al nome di C. S. Lewis, colui che successivamente sarà l’autore delle Cronache di Narnia, ma che all’altezza di quella data aveva scritto soprattutto un pamphlet dai toni satirici intitolato The Pilgrim’s Regress (titolo italiano: Le due vite del pellegrino), in cui da un lato documentava la sua recente conversione al cristianesimo, nella sua versione anglicana, e dall’altro si prendeva gioco dell’iper-razionalismo imperante anche a seguito della sempre maggior fortuna della psicoanalisi e dunque di Freud. Ciò malgrado o proprio per questo Lewis chiede udienza a Freud e da qui si dipana, seppur con qualche flash back e qualche minacciosa notizia proveniente dal mondo esterno, una verbosissima logomachia (ricca, com’è ovvio, di un po’ di vulgata psicoanalitica, a tratti modello bignamino) fra i due contendenti, convinti assertori l’uno di una visione religiosa del mondo e l’altro di una visione rigorosamente razionalista e laica. Ciascuno dei due rivela dei coni d’ombra, delle paure o dei traumi ma le loro posizioni nel corso del film non si muovono di un millimetro. I pochi momenti in cui lo spettatore riesce ad uscire dall’universo rigorosamente claustrofobico del dialogo fra i due, riguardano, oltre ai flash back (di Freud bambino, di Lewis bambino, di Lewis traumatizzato dalla prima guerra mondiale, di Freud in fuga da Vienna, ecc. – nel complesso sequenze, sul piano squisitamente registico nient’affatto memorabili), soprattutto Anna Freud, l’amata figlia, che cerca faticosamente di emanciparsi dalla tutela professionale e affettiva del padre, giungendo, finalmente nel prefinale a dichiarare al padre la propria omosessualità.
Se di questo film super-teatrale (è tratto da una pièce di Mark St. Germain, è vero, ma lo era anche il film di Cronenberg che aveva saputo brillantemente emanciparsi da quell’impianto conferendo all’opera una mobilità e uno stile prettamente cinematografici) si può salvare qualcosa è la prestazione degli attori, l’ottima Liv Liza Fries nel ruolo di Anna Freud e il bravo Matthew Goode nel ruolo di C. S. Lewis.
Fra tutti giganteggia, a tratti gigioneggia, Anthony Hopkins (che in Shadowlands [Viaggio in Inghilterra, 1993] di Richard Attenborough aveva, guarda caso, interpretato proprio C. S. Lewis) nella parte di Freud, con voce splendidamente rauca, risatine, tossettine, umorismo a tratti nerissimo, che – a dispetto di ogni verosimiglianza – recita in un inglese british che più british non si può, con qualche “Danke”, qualche “Auf Wiedersehen” buttato là a fornire il minimo sindacale di esotismo germanico. I titoli di coda ci dicono che poco prima di morire Freud incontrò un professore di Oxford, non sappiamo chi fosse. Forse C. S. Lewis? Forse qualcun altro? Diciamo che, dopo aver visto il film, la questione ci lascia abbastanza indifferenti.
In sala dal 28 novembre 2024
Freud – L’ultima analisi (Freud’s Last Session) – Regia: Matthew Brown; sceneggiatura: Matthew Brown, Mark St.Germain; fotografia: Ben Smithard; montaggio: Paul Tothill; interpreti: Anthony Hopkins (Sigmund Freud), Matthew Goode (C. S. Lewis), Liv Lisa Fries (Anna Freud); produzione: Fis Éirann/Screen Ireland, Last SessionProductions, Subotica Productions, 14 Sunset; origine: Usa/ G.B, 2023; durata: 122 minuti; distribuzione: Adler Entertainment
