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I tuoi figli sono fuorilegge
Chiede dei propri figli fuggiti per unirsi alla Jihad e le porgono una tazza rossa. Aicha si porta la mano alla bocca, non può credere, deve però cominciare a credervi per sopravvivere al terrore. Il marito Brahim ha invece la sua terra, in un paese rurale della Tunisia. Cerca di iniziare il figlio più piccolo, Adam, ai lavoretti di campagna, ma quello è piccolo e pensa soltanto a giocare e vendere pani per fare qualche soldo. Brahim sospira, e torna alla sua terra. Qualsiasi cosa succeda, figli persi figli recuperati, lui deve curarla, ormai con le sue sole braccia. Adam, nel frattempo, chiede:
I miei fratelli sono terroristi ora?
Un giorno appare un fuoristrada. Dal fuoristrada esce Mehdi e una donna con il burqa, di lei si vedono solo gli occhi, impenetrabili ma presenti. La madre non crede a ciò che vede, chiede a Mehdi dove sia il fratello Amine e la risposta è netta: è morto. La tazza è rossa. Il fuoristrada viene fatto scomparire, Mehdi celato con la moglie affinché nessuno possa vederli. È tempo di fuga, è temo di ripiegamento: un figlio è scomparso, un figlio è ritornato ma è solo un’ombra, una donna senza corpo ma con occhi è apparsa, e un figlio con i panni sporchi di polvere chiede:
I miei fratelli sono terroristi ora?
È possibile.
Io gli voglio ancora bene… è giusto?

Passato in anteprima al Whistler Film Festival 2024 e alla Berlinale 2024, il lungometraggio di Meryam Joobeur è un prodotto solido che s’immerge in un pozzo tra conscio e inconscio e non ne emerge sino alla fine. Come già in Brotherood (2018), la precedente fatica del regista, questioni esistenziali e famigliari si mescolano tra loro partendo dall’animo umano ma abbracciando l’intero creato, anzi, corrompendolo, come se i demoni di luoghi lontani popolassero quelli vicini. Simbolismo e realismo magico vagano per la campagna tunisina: segni premonitori, eventi inspiegabili, sospetti e silenzi… e il continuo studio dei visi dei protagonisti, sommati a un’ottima fotografia e una soundtrack tensiva quanto improvvisa, foraggiano l’incontro tra conscio e inconscio portando la paura a stendersi, tipo velo, sui corpi dei protagonisti. Il loro agitarsi, quello di Aicha sopra tutti, non è salvo dall’angoscia, mette però in luce quanto la forza d’animo e la purezza dei sentimenti possano respirare anche in fondo a un pozzo.
L’Isis, il grande nemico europeo del decennio passato, non esiste. Non esiste in corpo e ossa sulla pellicola, se non nella figura della donna con il burqa, quanto in realtà è perennemente presente, nella testa di Mehdi: all’interno di quella scatola cranica ci sono ricordi e dolori, immagini registrare che ribollono nelle pupille. Nessuno li può vedere, se non chi sa guardarvi dentro. Per esempio Aicha, che vede la corruzione operata dalla jihad nel figlio. Ma, a sua volta, lei è guardata da altri occhi: gli occhi incorniciati da un velo e tanto presenti, osservanti. L’Isis è cosa lontana, l’Isis è lì accanto. Ma alla fin fine, non si parla di terrorismo, di ciò che fa l’uomo, bensì di ciò che è l’uomo per arrivare a tanto. E spesso, per fare il tanto, c’è bisogno di poco e un altro poco e un altro poco…

Who do I belong to è un film tanto tensivo quanto moribondo. Lo studio dei personaggi – di chi guarda il cielo e chi guarda la terra, di chi ha visto e ora è cieco e di chi prima era cieco e ora vede, di chi un giorno vedrà e adesso vede senza capire – è continuo e prolungato, con il tempo che da una parte aiuta questa analisi e dall’altra si fa infinito, fin troppo esteso. Rimane però un film importante. Per capire che non esistono grandi cattiverie o grandi bontà, bensì piccoli uomini, un passo dopo l’altro, sui bordi di profondissimi pozzi. Ripescarli è poi cosa dura, ci potrebbe volere un intero film.

Who Do I Belong To (Mé el Aïn)- Regista e sceneggiatura: Meryam Joobeur; fotografia: Vincent Gonneville; montaggio: Anouk Deschênes; musica: Peter Venne; interpreti: Who Do I Belong To – Regista e sceneggiatura: Meryam Joobeur; fotografia: Vincent Gonneville; montaggio: Anouk Deschênes; interpreti: Salha Nasraoui, Mohamed Hassine Grayaa, Malek Mechergui, Adam Bessa, Dea Liane, Rayene Mechergui, Mariem Jlassi Akkari, Neji Kanaweti, Helene Catzaras, Noomane Hamda; produzione: Habib Attia, Maria Gracia Turgeon, Pauline Sartre per ; origine: Tunisia/ Canada/ Francia, 2024; durata: 110 minuti.; produzione: Habib Attia, Maria Gracia Turgeon, Pauline Sartre per Instinct Bleu; origine: Tunisia/ Canada/ Francia, 2024; durata: 110 minuti.
