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La Brandon Box, casa di produzione italiana, nota ai più per aver dato vita a uno dei fumetti più amati della Sergio Bonelli Editore, ovvero Dampyr (2022, diretto da Riccardo Chemello), torna sul grande schermo con un progetto ambizioso, sempre relativo all’universo del fumetto, ma che prende spunto dall’omonimo manga di Tetsuya Tsutsui, Prophecy.
Il nuovo lavoro della Brandon Box – sempre prodotto dall’attento Andrea Sgaravatti – resta vicino all’universo del fumetto, pur presentandosi profondamente diverso dall’adattamento cinematografico di Dampyr: ad essere differenti non sono soltanto le due fonti di ispirazione, la prima appartenente al fumetto italiano, la seconda a quello nipponico, ma anche il tipo di adattamento e di scelte fatti rispetto al contesto storico e all’attualità.
Precisiamo da subito che entrambe le trasposizioni cinematografiche risultano – a giudizio di chi scrive – artisticamente riuscite da diverse angolazioni. La scelta fatta su Prophecy, tuttavia, appare più coraggiosa e temeraria rispetto a quella fatta precedentemente con la Sergio Bonelli. Il film di Jacopo Rondinelli ha infatti il merito – oltre a quello di intrattenere e divertire – di saper trasporre alcuni degli interrogativi più salienti del periodo storico che viviamo all’interno del cinema di genere italiano.
Chiunque ami il cinema di genere è ben a conoscenza della sofferenza di questo aspetto all’interno della nostra tradizione, che negli ultimi anni è stata ravvivata da alcune produzioni dei fratelli Manetti (pensiamo all’operazione portata avanti con la trilogia di Diabolik) ma anche al recente La città proibita.
Le scelte creative che si celano dietro le brillanti e originali produzioni della piccola Brandon Box hanno, invece, un sapore artigianale, indie e dunque, anche quella scintilla di originalità, ricerca e sperimentazione che contraddistingue le case di produzione più piccole, con una visione ed un concept chiaro.
Vediamo a questo punto su cosa si basi il riuscito script di Prophecy: al centro vi è una storia di precarietà lavorativa, esistenziale e sociale; in realtà, meglio sarebbe dire che al centro vi siano le storie di precarietà dei diversi personaggi che andranno a formare il team del protagonista, Paperboy (interpretato da Damiano Gavino), promettente giovane ideatore di un brillante Software insieme al suo geniale amico Ade (Haroun Fall) e al più attempato Tizio (Antonino Bruschetta). Al trio si andrà poi ad aggiungere Grazia (Denise Tantucci). Quattro storie che si incrociano nel tentativo di riprendersi non il passato, ma il proprio futuro. Ebbene sì, perché la voglia di rivalsa non si traduce in un rancore cieco, bensì nel tentativo di trovare una via di espressione e di rivincita sulle ingiustizie subite, non importa se direttamente sulla propria pelle o su quella di amici, conoscenti o estranei.
Il punto cruciale di Prophecy è l’idea di collocare una storia fantastica (con tratti distopici) nel bel mezzo della nostra quotidianità. Ad essere calzante è sopra ogni cosa la scelta dei riders come paradigma di un precariato sui generis: il precariato di chi si trova indietro non per mancanza di talento o di competenze, ma per via di un ascensore sociale che sembra essersi nuovamente rotto. Gli anni ’70 e quelli del benessere economico sono infatti ormai lontani e anche due giovani geniali come Giona ed Ade si ritrovano nel nulla precari, annaspando per arrivare a fine mese. Ma la precarietà non è solo uno status socio – economico, è primariamente una condizione dell’esistenza e – soprattutto – è il sintomo che qualcosa non sta funzionando nella sfera socio-politica.
È per queste ragioni che l’ultimo lavoro della Brandon Box è un piccolo gioiello nel panorama del cinema di genere nostrano: pur prendendo spunto dal manga di Tetsuya Tsutsui, l’adattamento cinematografico italiano è in grado di rendersi autonomo e parlare una propria lingua, una lingua che non si limita a divertire e ad essere insieme commedia e film d’azione, ma sa fornire una chiave di interpretazione della realtà. Una visione, che pur nella sua voglia di riscatto, non risulta mai del tutto sovversiva verso le istituzioni, consegnando un’immagine articolata e complessa di chi lavora per e con lo Stato, come nel caso della poliziotta Erika (interpretata da Federica Sabatini). Da ultimo, ma non per importanza, ricordiamo l’antagonista di PaperBoy, il business man Manfredi (Giulio Greco).
Nel complesso Prophecy si presenta come un lavoro contraddistinto da un ottimo cast, una visione chiara e con l’ambizione ad essere un’opera di genere originale in un panorama italiano molto difficile e complesso.
In sala il 24-25-26 marzo.
Prophecy – Regia: Jacopo Rondinelli; sceneggiatura: Fabio Guaglione, Marco Sani, Fabio Resinaro, dall’omonimo manga di Tetsuya Tsutsui; fotografia: Simone Mogliè; montaggio: Matteo Mossi; musica: Matteo Buzzanca; interpreti: Damiano Gavino, Federica Sabatini, Ninni Bruschetta, Haroun Fall, Denise Tantucci, Giulio Greco; produzione: Andrea Sgaravatti per Brandon Box; origine: Italia, 2025; durata: 110 minuti; distribuzione: Nexo Studios.
