A Working Man di David Ayer

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A me sta simpatico Jason Statham. Dev’essere anche un tipo divertente dietro quella grinta da roccioso e laconico vendicatore. Inglese, 57 anni, calvo, naso camuso, muscoli ben in vista, in pochi anni è diventato uno degli “action hero” più pagati e gettonati. Anche la pubblicità si rivolge volentieri a lui: ho appena visto uno spot per Falconeri e un altro per Volkswagen.

Non sorprende quindi che Sylvester Stallone l’abbia eletto un po’ a proprio erede, non solo per averlo chiamato nel ciclo I mercenari. Adesso Sly ha addirittura scritto per lui A Working Man, insieme al regista David Ayer, ispirandosi al romanzo di Chuck Dixon Levon’s Trade. L’idea è di farne una serie per il cinema se questo film, da giovedì 10 aprile nelle sale italiane con Warner Bros, andrà bene.

Nel suo genere, A Working Man funziona, anche se avrei preferito un po’ di realismo in più e qualche sparatoria in meno. Statham è Levon Cade, un ex guerriero dei Royal Marines britannici che s’è reinventato come supervisore per un’impresa edile di Chicago gestita da onesti messicani: “Garcia e Famiglia”.

Giacca da lavoro Carhartt bene in vista (product placement), camicia a scacchi di flanella e scarpe da cantiere, Levon è un vero lavoratore con una vita travagliata alle spalle: sua moglie si suicidò e ora la figlia Merry è tenuta praticamente in ostaggio dal ricco nonno che attribuisce ogni colpa all’indole violenta di Levon. Il quale, invece, assicura di aver troncato ogni legame con la sua precedente vita da soldato.

Può durare? Naturalmente no. Dopo aver pestato di brutto alcuni malviventi, l’uomo si ritrova di fronte a un’ineludibile scelta morale: cercare e salvare Jenny, la figlia del suo principale, rapita da due loschi figuri che vendono su commissione belle fanciulle a ricchi viziosi.

Sensibile al “Chiaro di luna” di Chopin ma lesto a spaccare ossa in quantità, il raddrizzatorti non sa ancora che la sua indagine porta direttamente alla mafia russa, specialmente a un giovane boss, tal Dimitri, vanitoso e feroce, in combutta con una banda di motociclisti. Il resto lo potete immaginare.

Ipertecnologico e vecchio stile allo stesso modo, Levon esce praticamente indenne da ogni sfracello, e questo ne fa un personaggio da fumetto, ma il genere è questo, con le sue regole, e Statham, che nell’incipit sembra un po’ recitare, poi diventa solo una terrificante macchina da guerra, una sorta di “demonio” anche per i russi messi alla berlina dalla storia.

Film così sono sottratti per natura al giudizio della critica, nel senso che nessuno degli eventuali spettatori leggerà mai quanto ho appena scritto. D’altro canto, Statham ha girato più di cinquanta film in ventisei anni, il che lo porta ad andare non troppo per il sottile nelle scelte, anche se ci provò nel 2013 con il notevole Redemption – Identità nascoste di Steven Knight, oltre che con le buffe storie criminali girate con Guy Ritchie, il regista che felicemente lo scoprì ai tempi di Lock & Stock – Pazzi scatenati.

In sala dal 10 aprile 2025.


A working Man – Regia: David Ayer; sceneggiatura: Sylvester Stallone, David Ayer; fotografia: Shawn White; montaggio: Fred Raskin; musica: Jared Michael Fry; scenografia: Nigel Evans; interpreti: Jason Statham, Jason Flemyng, Merab Ninidze, Maximilian Osinski, Cokey Falkow, Michael Peña, David Harbour, Noemi Gonzalez, Arianna Rivas, Emmett J. Scanlan, Greg Kolpakchi, Kenneth Collard, David Witts; produzione: Bill Block, Chris Long, Sylvester Stallone, Jason Statham, David Ayer per Amazon MGM Studios, Metro-Goldwyn-Mayer, Cedar Park Studios, Black Bear, Balboa Productions, Punch Palace Productions; origine: Usa/Gb, 2025; durata: 116 minuti; Distribuzione: Warner Bros Italia.

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