Il bacio della cavalletta di Elmar Ivanov

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Non credo di andare molto lontano dal vero affermando che Il bacio della cavalletta – secondo lungometraggio del regista azero Elmar Ivanov, trasferitosi in Germania, dove ha studiato cinema alla Filmhochschule di Colonia – esca in Italia solo ed esclusivamente perché l’Italia e la Film Commission del Friuli Venezia Giulia ha deciso, per ragioni che sarebbe interessante indagare, di co-produrlo. Una supposizione che sorge spontanea perché il film rientra a pieno titolo nella categoria di quei film che si è soliti definire “da festival”. E infatti la prima proiezione del film è avvenuta a Berlino, nella sezione storicamente più ostica e sperimentale, ovvero quella denominata “Forum”. Che cosa induce, in generale, a definire determinate opere film da festival? Scene tendenzialmente autoconclusive, la labilità del continuum narrativo, la lunghezza a tratti smodata delle singole sequenze, il rifiuto del controcampo, l’estrema parsimonia dei dialoghi, l’assenza o quasi completa assenza della musica, o nel caso, solo ed esclusivamente musica diegetica – solo per citare gli elementi più vistosi. Va da sé che questi film non possono contare su una grande presenza nelle sale cinematografiche e accoglienza da parte del pubblico, soprattutto se sono opera di autori che nessuno conosce. Lo dimostra il fatto che il film, oggi in uscita, è distribuito in due sale soltanto, una di Milano e una di Napoli.

Michael Hanemann e Lenn Kudrjawizki

Nel pieno rispetto di tutte le peculiarità che ho provato a elencare Il bacio della cavalletta, ambientato per l’appunto a Colonia, si regge su una dicotomia di fondo: vi è da un lato una vicenda diciamo così realistica, che racconta la storia sofferta del rapporto fra un padre Carlos (Michael Hanemann) e un figlio depresso Bernard (Lenn Kudrjawitzki), un rapporto segnato da una serie di rivendicazioni da parte del figlio, evidentemente danneggiato da una pronunciata anaffettività del padre, tensioni che tuttavia almeno in parte si compongono allorché al padre viene diagnosticata una malattia incurabile. Innumerevoli sono gli incontri fra i due all’interno del film: cene, a quanto sembra piuttosto gustose, cucinate dal padre e contraddistinte da sovrumani silenzi, visite a un commissariato allorché il padre resta vittima di un’aggressione notturna (da parte di un personaggio mostruoso denominato The Face), l’odissea fra medici e ospedali,  e, persino, una puntata in una discoteca contraddistinta da una notevole promiscuità sessuale, dove il padre anziano e malato si getta nella bolgia e accenna una danza stordente al ritmo di musica techno che finirà per provocargli un malore. Si tratta di una dinamica che a tratti ricorda uno dei testi rivendicativi più famosi della storia della letteratura mondiale ossia la Lettera al padre di Franz Kafka. Né con la fidanzata Agata (Sophie Mousel) le cose sembrano andare meglio. Anche qui vedi alla voce Kafka.

The Face (Rasim Jafarov)

La figura dello scrittore praghese aleggia un po’ su tutto il film, in un’accezione per una volta non tanto antonomastica e abusata, quanto piuttosto testuale e citazionistica (il riferimento è ovviamente alla Metamorfosi), ché a un certo punto compare all’orizzonte proprio un insetto, di dimensioni enormi, ovvero la cavalletta di cui al titolo, non si capisce se proiezione/ossessione del protagonista o realmente esistente, e in un’altra scena vi è un personaggio che si arrampica sui muri, come un insetto appunto. Fatto sta che la presenza della cavalletta, insieme a molti altri episodi contenuti nel film, delineano – e ritorno alla dicotomia, di cui parlavo poche righe fa – un’isotopia totalmente diversa, rispetto a quella realistica del rapporto padre-figlio, un’isotopia definibile come bizzarra o forse addirittura fantastica, qua e là si sente odore di Cronenberg. Del resto, il protagonista convive (non si capisce perché) con una pecora che ha anche un nome (Fiete), è visibilmente attratto da un abisso (che vediamo non una volta soltanto) pieno, verrebbe da dire, di catrame (vista una prolungata doccia di Bernard nel vano tentativo di liberarsene), una voragine, difficile da individuarsi del tutto, stante l’oscurità in cui le scene si svolgono. Un’oscurità che riguarda molte sequenze anche di altra natura e che rende un po’ faticosa la visione del film. Molto bravi gli attori protagonisti, in grado di sostenere primi e primissimi piani e sequenze di inconsueta lunghezza.

In sala dal 1 maggio 2025.


Il bacio della cavalletta  (Der Kuss des Grashüpfers) – Regia, sceneggiatura: Elmar Ivanov; fotografia: Borris Kehl; montaggio: Beppe Leonetti; interpreti: Lenn Kudrjawitzki (Bernard), Michael Hanemann (Carlos), Agata (Sophie Mousel); The Face (Rasim Jafarov); produzione: Color of May, Wady Film, Incipit Film, WDR, in coproduzione con Fondo per l’Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia; origine: Germania/ Lussemburgo/ Italia, 2025; durata: 122 minuti; distribuzione: Trent Film.
Foto: Borris Kehl.

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