n-Ego  di Eleonora Danco

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Dopo la presentazione in Concorso alla 42a edizione del Torino Film Festival , esce in sala “n-Ego”, opera seconda di e con Eleonora Danco, tutta inscritta nella poetica della regista, la quale nel pressbook non esita a classificare il suo film in un genere che ella stessa definisce “sperimentale”; oppure, se non vi basta: “un esorcismo che ha la forma di un film”.
Per chi ne fosse ignaro (non molti, tra i lettori di queste colonne), Eleonora Danco è soprattutto un’attrice, drammaturga, e regista teatrale che da circa trent’anni scrive, produce, interpreta e dirige i suoi drammi in giro per lo stivale facendo per lo più base a Roma, che è la città in cui nacque. Esattamente dieci anni fa debuttò nella regia cinematografica proprio al Torino film festival, con un’opera originale e coraggiosa, intitolata N-Capace, che convinse le giurie dei più importanti premi nazionali, venendo candidata nella categoria di competenza al David di Donatello, Nastro d’argento e Globo d’oro; oltre a ottenere un paio di menzioni speciali al TFF. Dopo il passaggio sotto la Mole, n-Ego, prodotto da Inès Vasiljevic e dal noto sceneggiatore Stefano Sardo (unitisi nella casa di produzione Nightswim); grazie alla distribuzione de Lo Scrittoio, parte il 5 maggio da Roma (cinema Troisi) in un tour che toccherà Bologna, Brescia, Milano, Firenze, Ancona, Torino, Palermo, Catania; prima della presentazione internazionale a Parigi, nella rassegna Dolce Vita Sur Seine il 7 luglio.

La trama racconta di una regista che si aggira per le strade di Roma (ma anche di Sperlonga e di Terracina) alla ricerca di un’ispirazione che non arriva; si imbatte così in una serie di epifanie che rappresentano i propri demoni interiori e che spesso riecheggiano l’autoritaria figura paterna. Epifanie che hanno il volto, il corpo, la voce e le sporcature dialettali di una congerie di esseri umani i più diversi (giovani/vecchi, maschi/femmine, poveri/ricchi, benestanti/disperati) i quali mettono in scena il portato deflagrante delle proprie esistenze; ora satolle, ora randagie, ora criminali, ora devastate.

Una galleria di uomini e donne autentici/e che squadernano a favore di camera le proprie esistenze spudoratamente, trasformandosi così da persone qualunque in personaggi giganteschi che valgono da soli il prezzo del biglietto. Reperti di popolo di abbacinante veridicità, che stridono soltanto apparentemente con il sotto-testo colto dell’autrice, con i suoi a-parte teatrali (“Basta masochismo, siamo fatti per socializzare noi teste di cazzo!”) e con l’artificio delirante di certi siparietti umoristici recitati assieme ai coprotagonisti. Persone incontrate dalla regista/attrice nel suo malcerto deambulare, che la fa scontrare pure con una serie di volti noti del cinema/tv/teatro (Filippo Timi, Antonio Bannò, Elio Germano, etc.), senza che essi risaltino rispetto agli altri, anonimi, con maggior rilevanza. Poiché l’intento di Eleonora Danco (e il motivo che ci ha fatto amare il film, nonostante certe sue oggettive farraginosità narrative) non è per nulla sociologico e/o politico: non le interessa esplicare o peggio interpretare la complessità della realtà coll’imperante e onnipresente sociologismo d’accatto; con “le ideuzze falsamente edificanti” del cosiddetto “cinema del reale”. No, aggirandosi erratica-mente come manichino Dechirichiano, col volto dissimulato da una calza e armata da una cartucciera di sonniferi, la protagonista si arrende, comprensibilmente, innanzi alla “manifestazione piena di una sorta di eternità fiabesca perennemente in agguato dietro ogni circostanza ordinaria” e la rappresenta per quella che è, senza sognarsi manco per sbaglio di giudicarla.

Indossando fisicamente i retaggi della cultura novecentesca che rivendica apertamente (la metafisica di Giorgio De Chirico, il surrealismo di Luis Bunuel, etc.), Eleonora Danco conduce la sua personale esplorazione sulla condizione umana. Cercando l’autenticità, va a sbattere contro i desideri e le paure del mondo, che sono dei suoi interlocutori e pure i suoi. Adottando uno stile che fonde il registro quotidiano e l’onirico, n-Ego prova a raccontare l’identità, la solitudine e la creatività, giungendo alla consolante/desolante conclusione che “la creatività è sia un’àncora di salvezza che una fonte di tormento”. Sfidando certe pigrizie convenzionali del cinema mainstream e del suo pubblico, n-Ego è un cinema che trascende la realtà, invitando lo spettatore a riflettere sulla propria esistenza. Un film che può respingere o affascinare, come quello del rumeno Radu Jude  (tanto per menzionare un esempio di “cinema da festival” cosiddetto scomodo, ovvero vivo) che può piacere o meno, ma che – per fortuna! – non lascia indifferenti.

In Concorso al Festival di Torino 2024
In tour nelle sale dal 5 maggio 2025.


n-Ego – Regia: Eleonora Danco; soggetto: Eleonora Danco; sceneggiatura: Eleonora Danco, Marco Tecce; fotografia: Martina Cocco, Francesco Di Pierro; montaggio: Marco Tecce; costumi: Alessandro Lai; musica: scelte da Marco Tecce; interpreti: Eleonora Danco, Antonio Bannò, Luca Gallone, Federico Majorana, Filippo Timi, Elio Germano; produzione: Inès Vasiljevic, Stefano Sardo per “Nightswim”; origine: Francia/Italia, 2024; durata: 82 minuti; distribuzione: Lo Scrittoio.

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