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Voto
“Nell’antica Roma c’era una fossa circolare detta Mundus. Questo pozzo veniva aperto tre volte l’anno, e collegava il mondo dei vivi con quello dei morti. Durante i tre giorni si diceva Mundus patet, Il mondo aperto”. La voice over dell’artista visiva Virginia Eleuteri Serpieri (la regista romana che con il suo Amor, lungometraggio che si consiglia vivamente di recuperare, ha vinto la scorsa edizione di UnArchive Found Footage Fest) accompagna quasi tutto il viaggio attraverso i passages dell’installazione, composta da due video monocanale disposti su tre schermi (un video si alterna, come in uno specchio, tra due dei tre schermi), un mappamondo illuminato e alcuni libri su uno scaffale, disponibili per la lettura.
Un itinerario fatto di porte antiche (con gli archi che disegnano anche il ciclo del tempo) e porte moderne, di cancelli semichiusi e di porte che contengono altre porte, “come un labirinto di scatole cinesi”, in cui il montaggio sapiente di Eleuteri Serpieri – un traghetto che fa la spola tra i due mondi e rende reversibile il tempo – si fa anche gesto (torna il riferimento a Walter Benjamin e alla sua definizione di gesto come soglia collocata tra ricettività e creatività) e sguardo aperti sia alle stratificazioni nello spazio –“Roma è anche una città di buchi, cavità, fessure, ferite”- che alle sedimentazioni nel tempo. Un tempo oscillante tra il riconoscimento di genealogie personali all’interno del migliore pensiero critico – Pier Paolo Pasolini, Amelia Rosselli, Elsa Morante, Federico Fellini e Giulietta Masina, Sandro Pertini, Michelangelo Buonarroti -, e la ricerca senza respiro di intensità affettive – la madre della regista, l’espressione di un musicista. Il globo è infatti astronomico, acqueo – immergersi in questa installazione è un’esperienza meravigliosa – ed è soprattutto terrestre, laddove le porte mondo sono anche voragini che la regista, e fin dai suoi primi cortometraggi, continua ad oltrepassare con coraggio, sensibilità e magnetismo emulsionale. Il fatto che l’installazione sia costituita da un montaggio di immagini provenienti da archivi eterogenei (quello della famiglia Eleuteri Serpieri, del Library of Congress, del Metropolitan Museum of Art, oltre al riuso di molta cartografia antica che è anche porta e testimonianza della storia umana), oltre alla scelta di farle scorrere contemporaneamente su più schermi, la rende un viatico, per chi ne fa ripetuta esperienza, verso la pratica aperta dell’interpretazione. E quindi verso la costruzione di uno spazio critico.
Il rimando filosofico alla figura dei passages benjaminiani – immagini-soglia in cui il nuovo si sedimenta con il vecchio e in cui il desiderio e la creatività sono gesti con cui trasfigurare paura e dolore – lo fa la stessa regista nel bel testo scritto per il catalogo del festival: “nella vita moderna i cosiddetti riti di passaggio, le cerimonie connesse alla morte, alla nascita, al matrimonio, al diventare adulti etc. sono divenuti sempre più irriconoscibili e impercettibili […] siamo diventati poveri di esperienze della soglia e l’addormentarsi forse è l’unica che c’è rimasta”. Eleuteri Serpieri desidera intensamente e allo stesso tempo si fa carico della fatica (del dolore) di ripetere, a ogni nuovo lavoro, questi attraversamenti rituali; in tal modo dando voce, probabilmente, sia a una sua esigenza interiore – lo spazio privato dietro la porta – che a un’istanza urgente di riattivare una comunità collegata da tante porte mondo medium per altrettanti possibili – sempre Benjamin parla di permanenze nelle opere artistiche di una “proiezione utopica dell’inconscio collettivo”.
Il lavoro sul suono, sorprendente, è una tessitura complessa con cui accendere sensorialmente emozioni e citazioni (Mozart tra le altre, che ritorna dopo averci accompagnato anche in Amor). La splendida ballad del musicista Federico Maistrello rimane ancora viva nello spazio sognato dalla memoria, sulla soglia di questa visione perduta e ritrovata, nel mondo aperto.
Il mondo è aperto – Regia: Virginia Eleuteri Serpieri; suono e found footage music: Giuseppe D’Amato; origine: Italia, 2025; durata: 8’ minuti circa.
