Reflection in a Dead Diamond di Hélène Cattet, Bruno Forzani

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John è un signore di una certa età, indubbiamente. Ma nonostante la barba bianca e il volto tempestato da rughe, i suoi occhi sono ancora penetranti, anche se turbati. Comunque, è elegantissimo nel suo vestito di lino leggero color crema; per non parlare dei mocassini di camoscio ai piedi. John in effetti è un agente segreto; o almeno lo era negli anni 60. Quando portava ancora vestiti neri attillati, ed era un Killer micidiale. Oggi invece, solo, al bar del suo Hotel di lusso (a Cannes a quanto sembra), si svuota un Martini dopo l’altro. E fissa le onde della Costa azzurra, e una tipa in bikini rosso che si gode il sole a pochi metri di distanza. I suoi occhi scrutano i nei della ragazza. Il sale e il sole le fa risplendere la pelle. È un attimo, e John, dal bikini, ai riflessi su quella pelle ricasca in un vortice psichedelico, e ricomincia a vedere cascate di splendenti diamanti.

Fabio Testi

Bastano due, tre pennellate ad Hélène Cattet e Bruno Forzani per scatenare un putiferio di scene, combattimenti all’ultimo sangue, inseguimenti pazzeschi sulla Riviera; bande di spioni e bellimbusti che a sciabolate e coltellate si riducono in minuscoli pezzi. E gli schizzi di sangue in Reflection in a Dead Diamond scorrono a fiumi per quasi tutti e 87 i minuti di questa esagitata, esagerata spy story.

Certo, la coppia (sul set come nella vita) di registi francesi Cattet & Forzani ne ha un bel po’ di cinema alle spalle: il loro primo film, Amer (del 2009), era un Horror metafisico niente male. Così come Lacrime di sangue, un mystery (nel 2013) di spessore. Anche le carrellate di immagini a dir poco furiose di Laissez bronzer les cadavres (2017) ne facevano un ‘poliziesco’ a dir poco sui generis.

Qui, nella loro quarta opera, la differenza la fa senza dubbio il volto intenso e squadrato, e tutto il corpo di quella leggenda del cinema che è Fabio Testi: nel suo lino candido, e pistola in fondina del veterano appunto di una agenzia di spioni (che più anomala non si può). Per il resto, l’accumulo delle scene è così frenetico, la serie delle immagini ed inquadrature sfolgoranti talmente schizzata, che non si riesce mai a districare se quel che stiamo vedendo è la trama del film – ma  si svolge al presente, o al passato? O se invece dal piano del film Reflet… è di nuovo scivolato alle pagine del fumetto. Con tanti cari saluti a Sin City (2005), agli immortali comics di F. Miller e alla raffinata, intricata regia di R. Rodriguez

Idem dicasi per i piani inclinati su cui schizzano gli inseguimenti, sparatorie e ammazzamenti truculenti che vediamo letteralmente ‘splatterarsi’ sullo schermo: sono reali, cioè Horror vissuti proprio in quell’istante dal vecchio John, o allucinazioni del John più giovane? Non si tratterà, in entrambi in casi, di schegge impazzite della sua mente, traumi o spezzoni dei suoi ricordi? Eventualmente sì, John è in qualche senso sempre lui, il fichissimo spione dai nervi d’acciaio. Ma a volte eccolo calarsi nella veste di John, che sta solo girando la scena di un film: certo, sempre nei panni di John, che ora sta cercando di squartare, stesa magnifica su un morbido lettone, l’ignobile Serpentik… (mentre la truccatrice entra sul set e ritocca ad entrambi gli squarci orribili e gli schizzi di sangue, oggi fra l’altro al sapore di cioccolato…).

Le cascate di ambigui riflessi e ricordi, dotte citazioni e storie alienate sulla falsariga di “Diamanti & Morti” che Cattet & Forzani sparano a raffica sullo schermo non finiscono certo qui. L’agente John – oltre ad essere classica reincarnazione, più o meno tarocca e allucinata, della maschia galleria di benemeriti 007- è al contempo un eroe (ovviamente, in format bianco e nero) di una lunga genealogia di fumetti. Tante le situazioni in cui qui il cinema trapassa di sana pianta in quello a suon di: Boom, Wham, Rorrr e didascalie varie da ‘cartone animato’. La suadente assassina in pelle nera che vediamo sconvolgere il giovane John (ma anche la sua versione-settantenne con Fabio Testi) è la già citata quanto sfuggente Serpentik. Incappucciata sotto una maschera nera, è fisiologicamente impossibile capire chi sia. Né quante Serpentik ci siano sotto tutta quella pelle Black. O come sfuggire alle sue/loro arti di seduzione, oltre che a tante mazzate marziali.

Nel pittoresco bar “Le Pirate” ad esempio, Serpentik si trasforma in una sorta di bestiale Machete, trasformando un’amena partita a biliardino fra maschietti (in canottiera) in un cimitero di denti sparsi, peni mozzati e teste fracassate. Le amputazioni, decapitazioni ed evirazioni che lei riesce a recidere a forza di tacchi a spillo, coltellacci e unghie acuminate fanno in effetti impallidire le eroine della saga tarantiniana di Kill Bill. D’altronde, anche una collega/amante di John, è talmente amazzone e female power che riesce a far fuori una squadra di Ninja lanciando le taglienti paillettes del suo ipersexy vestito dai mille riflessi (ovviamente ogni paillettes o quasi, ha videocamere integrate).

Come se non bastassero le fontane di sangue e sciarade illustrate dalle serie James Bond/ Tarantino/ Rodriguez/ Machete, ecc o dalla tradizione Diabolik/ Satanik &Co., anche il linguaggio che il Duo Cattet e Forzani mette in bocca agli eleganti spioni, turpi assassini e mafiosi vari è un fritto misto abbastanza grasso di francese e inglese, più un buffo italiano (che non guasta mai).

Maria de Medeiros e Fabio Testi

Di tutte le dimensioni e target storpiati forse è quella acustica di questo action-triller-fumettone a sorprenderci di più. Il corpo sinuoso di Serpentik in effetti emana suoni. La sua pelle non è solo nera e luminosa, ma la sentiamo frusciare vibrante ad ogni suo passo e scatto felino. In Reflection… ad ogni tiro di sigaretta si sente in sala il tabacco che brucia, e il profondo risucchio del fumatore. E forse non è un caso se “le pelli” sotto cui si nascondono (come gli illustri Diabolik ed Eva Kant) Serpentik, John e i loro avatar sono così gommose e presenti: nelle sue allucinazioni John – il giovane come il vecchio – vede spesso galleggiare nel mare o a terra stracci di labbra, fazzoletti di occhi.

Giunto alla veneranda di 70 ed oltre, John alias Fabio Testi non solo è stanco e stra-allucinato dai riflessi del passato, ma non riesce più a saldare il conto della sua Suite (ultra-barocca, tutta stucchi dorati e pareti celestine). Per fortuna che ha ancora ammiratrici che alla reception gli pagano gli arretrati: grande Maria de Medeiros, con i suoi occhioni verdi e il caschetto biondo, nella parte della Fan dello squinternato ex-agente. Nella sua villona lei ce l’ha intera la collezione delle storie a fumetti del gelido spione che fu. E l’inseguimento fra questi due veterani del crimine sulle serpentine della Costa Azzurra – lui la insegue in una Jaguar color carta da zucchero; lei che precipita in mare – è tra i momenti più poetici di questa pellicola furiosamente surreale.

Un film a tratti anche sconcio. Ma a tratti divertente. E comunque stilisticamente esuberante. Di sicuro, incanterà gli affezionati del Noir meta-fisico, gli amanti del fumetto-crime come i fan del grottesco e delle sue stridenti caricature al cinema. E già perché a suo modo è una sorta di piccolo, splendente gioiello questo Reflection in a Dead Diamond.

In Concorso alla Berlinale 2025
In sala dal 3 luglio 2025


Reflection in a Dead Diamond (Reflet dans un diamant mort )Regia e sceneggiatura: Hélène Cattet, Bruno Forzani; fotografia: Manuel Dacosse; montaggio: Bernard Beets; musica: Dan Bruylandt; interpreti: Fabio Testi , Yannick Renier, Koen De Bouw, Maria de Medeiros, Thi Mai Nguyen, Céline Camara; produzione: Kozak Films; origine: Belgio/ Lussemburgo/ Italia/ Francia, 2025; durata: 87 minuti; distribuzione: Lucky Red.

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