Perugia Social Film Festival XI° – Edizione (26 settembre- 8 ottobre 2025): Balentes di Giovanni Columbu (Film di chiusura)

Sembrerebbe esserci un’incoerenza di fondo nel voler sistemare insieme forze fra loro antitetiche quali possono essere modelli sperimentati e consolidati ad altri che promuovono invece l’innovazione tecnica, proteggere antichi valori della tradizione ma sostenere atti eroici e ribelli. Eppure, senza ombra di dubbio, nel film d’animazione Balentes il regista sardo Giovanni Columbu (Arcipelaghi, Su Re, Surbiles) riesce a raggiungere un mélange di opposti di grande forza espressiva, lontano dalle scontate forme di narrazione che siamo abituati a vedere sul grande schermo. Columbu non per niente è un artista eclettico: regista, fotografo e attivista sardo – ma ha lavorato anche per la televisione – da sempre dedito alla sua arte che, con coerenza e spirito indipendente, rimane il caposaldo delle sue molteplici attività. Per lui quindi il cinema sembra essere solo uno dei molteplici strumenti espressivi che gli permettono di trasmettere e comunicare le sue idee e i suoi interessi ad un vasto pubblico.

Balentes si basa su una storia vera accaduta nella Sardegna rurale nel 1940, quando Mussolini governava con le sue camicie nere, in un tempo storico nel quale i suoi scagnozzi usavano la forza e l’inganno, per prevalere sulla popolazione sarda ormai assoggettata, in quei tesi e insicuri anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale. Due ragazzi, gli amici di giochi – nel film definiti uccelli di nido – Ventura (la voce è di Bruno Sedda) e Michele (la voce è di Andrea Sedda) liberano, quasi per puro spirito d’avventura, un branco di cavalli destinati alle milizie, il cui inevitabile destino sarebbe stato di morire macellati sotto i colpi della mitragliatrice. Il loro gesto, forse sconsiderato, forse coraggioso (una “balentìa” in sardo) o forse solo una bravata, ha molto di idealismo anarchico e diventa simbolo di libertà e di resistenza in un periodo storico fra i più bui per l’Italia. La corsa dei cavalli è un grido lanciato verso l’autodeterminazione, una presa di posizione contro la guerra imminente. Mentre Melchiorre, il servo ingannatore e traditore, colui che andrà a fare la soffiata ai carabinieri, che volutamente omette la giovane età dei due ‘banditi’, è la vile figura di chi ha scelto di stare dalla parte dell’oppressore.

Da sempre interessato alla fotografia, non stupisce quindi, nonostante questo film sia il suo primo tentativo nel campo dell’animazione, che Columbu abbia scelto una forma espressiva, comunque, vicina al realismo dei suoi film documentari e narrativi. La tecnica utilizzata alla base di Balentes è infatti il rotoscopio. Inventato da Max Fleischer questo metodo utilizza i movimenti di figure reali e li trasforma in animazione, oggi ovviamente servendosi di processi modernizzati grazie al computer, ed è tornato con le sue molteplici possibilità ad essere spesso impiegato per ottenere soluzioni estetiche fra le più diverse, spesso complesse e raffinate come in questo caso. Il regista, infatti, se ne serve per le figure in movimento completando lo spazio con paesaggi quasi astratti realizzati con una tecnica pittorica mista. Quasi 30.000 disegni ha realizzato Columbu stesso con pennello su carta in questa sua prima opera di animazione, mentre vari collaboratori hanno poi completato le mascherature che circondano le figure.

L’uso di un severo e contrastato bianco e nero crea un clima di suspence nell’arcaica semplicità di queste ‘non scene’: sono infatti il contrario di uno spazio definito, con la loro tendenza a non voler essere descrittive, a non mostrare nulla, ma nel loro limitarsi ad accennare ad un qualcosa. Tutto viene lasciato allo stato di abbozzo, certo per evocare lo scabro ed aspro paesaggio sardo, ma probabilmente più con l’intenzione di lasciare lo spettatore libero di completare a suo modo storia e immagini. Il risultato è alquanto suggestivo, più da paesaggio interiore, o luogo della memoria e del racconto. Questo richiede nello spettatore un bel po’ di lavoro d’immaginazione per organizzare la vista e focalizzare l’attenzione sui pochi personaggi, sui pochi tratti in movimento che vediamo apparire rappresentati sullo schermo, e che il nostro occhio cerca, e a volte solo con fatica trova, fino a metterli a fuoco. Siamo all’opposto quindi di una visione scontata e passiva da parte del pubblico in sala. Un interessante lavoro di comunicazione attiva e stimolante che si serve di segnali e segni che vanno necessariamente interpretati e completati.

Non secondario è il ruolo del sonoro. Molto è lasciato alla qualità e tonalità delle voci, con brevi dialoghi strettamente in lingua sarda, anche questa una scelta che contribuisce a esaltare le enigmatiche e primordiali immagini quasi grattate sulla roccia di una caverna, come le pitture rupestri nelle grotte di Altamira o di Lascaux. Quasi naturale viene un altro riferimento, un altro richiamo all’antico, e cioè al mito della caverna di Platone. Come ombre in movimento in un’ideale grotta illuminata, le figure si stagliano incerte fra chiari e scuri, fra il vedere e il non vedere, dove a volte risulta difficile scorgere e differenziare, nel minimalismo di linee appena accennate, sfuocate o nette, che si susseguono. Le composizioni realizzate da Columbu si pongono in bilico fra questa impensabile frantumazione dell’immagine, fra l’espressionismo del segno grafico, impulsivo e carpito al gesto, e l’iperrealismo del movimento, realizzato con tecniche precise e ben definite, appunto fotografiche. Ma i riferimenti ai precursori del cinema non si esauriscono qui. Le ombre al galoppo dei cavalli richiamano alla memoria gli esperimenti sul movimento di uno dei pionieri del pre-cinema come Eadweard Muybridge, mentre la stilizzazione fino all’essenziale di elementi dinamici quali l’orologio o le ruote del treno sui binari riprendono la schematica decostruzione in linee di tempo-velocità-movimento compiuta in campo artistico dal movimento del Futurismo italiano nei primi decenni del Novecento.

L’aspetto mitico e romantico della vicenda è messo in risalto dalla scelta di porre su un unico piano una tradizione orale e comunitaria tipica di una società legata alla pastorizia e al banditismo – tematiche molto presenti nel film – ad una narrazione scritta, letteraria e quindi meno popolare, senza porre grandi distinzioni. Columbu accosta così in sonoro brevi dialoghi e voci isolate in sardo a cartelli stampati nero su bianco, sempre e rigorosamente in lingua sarda, che riprendono la funzione narrativa delle didascalie usate nel cinema di epoca muta, ma che ricordano pure il testo scritto a paragrafi brevi dei libri illustrati per bambini.

Balentes quindi lavora su più livelli interpretando, sfruttando e calibrando con particolare sensibilità artistica l’utilizzo di tecniche comunicative e d’animazione, sia vecchie sia nuove, e si lascia inspirare da varie correnti artistiche. Il tutto, insieme, confluisce in un’esperienza estetica originale di grande espressività, di vivace dinamismo e audace sperimentalismo che non lascia indifferenti, continua anzi, ad accompagnarci anche fuori dalla sala cinematografica.


Balentes: Regia: Giovanni Columbu; sceneggiatura: Giovanni Columbu, Maria Grazia Perria, Elena Pietroboni; montaggio: Giovanni Columbu, Benni Atria; musica: André Feldhaus, Filippo Ripamonti, Stefano Tore; interpreti: Bruno Sedda, Andrea Sedda, Simonetta Columbu, Maria Antonietta Secchi, Giovanni Secchi; produzione: Luches Film, Tama Filmproduktion, Rai Cinema; origine: Italia/ Germania 2024; durata: 70 minuti; distribuzione: My Culture.

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