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Voto
Ambientato negli anni ’60 sulle Alpi, Château La Belle racconta una realtà atroce: una struttura – un manicomio/asilo – in cui donne vengono lobotomizzate, violentate e impregnate per dar vita a un affare di vendita di bambini. È un corto d’animazione di impegno civile che mette al centro l’abuso istituzionale, la violenza di genere e la mercificazione dei figli. Questo sfondo fortemente drammatico e politico definisce immediatamente l’intento del film: non solo intrattenere, ma denunciare, scuotere, far riflettere.
Il fatto che si tratti di animazione dà al film un doppio livello di lettura: da un lato la leggerezza visiva implicita del mezzo animato, dall’altro la durezza del tema. Questa tensione tra forma e contenuto risulta particolarmente efficace: l’animazione consente distanziamento visivo, stilizzazione e simbolismo, e ciò può dare forza alla rappresentazione di violenze e abusi che, in un linguaggio realistico, rischierebbero di risultare eccessivamente crudi. Tuttavia, questa scelta comporta anche una sfida: la stilizzazione non deve indebolire l’impatto etico dell’opera. Se l’animazione diventa troppo astratta, si rischia di perdere la dimensione fisica e concreta della violenza istituzionale che il soggetto richiede.
Il contesto storico – gli anni ’60 sulle Alpi – evoca un luogo isolato, fuori dal tempo e dalle reti di controllo moderne: perfetto per rappresentare l’intimità dell’abuso nascosto e l’impunità che lo accompagna. La scelta del setting rafforza l’atmosfera di clandestinità sociale e morale. Il soggetto condiviso tra i due autori suggerisce una visione collettiva e partecipata: il trauma narrato non è solo personale, ma appartiene a un tempo storico, a una collettività.
È raro, nel panorama dei cortometraggi italiani – soprattutto d’animazione – affrontare con tanta nettezza una vicenda di abuso istituzionale, lobotomia e mercificazione dei figli. Questo da solo merita rispetto: l’opera non cerca la facile astrazione, ma affronta un passato oscuro. Sul piano simbolico e metaforico, la struttura-manicomio, la “vendita dei bambini” e la lobotomia come strumento di cancellazione della soggettività femminile assumono un valore allegorico potente: rappresentano il potere che anestetizza, sfrutta e fa tacere.
Il progetto funziona anche come strumento di memoria e denuncia, e forse di educazione: la sua efficacia dipende da quanto riesce a spingere lo spettatore a riflettere, non solo a subire emotivamente. La scelta del mezzo animato permette un’elaborazione visiva più libera e simbolica, che un live-action realistico non sempre consente.
Con un soggetto così forte, esiste il rischio della didattica esplicita: l’opera potrebbe diventare “spiegativa” o “sloganistica”, anziché lasciare spazio alla complessità emotiva e all’immaginazione dello spettatore. Un’altra sfida è il bilanciamento tra violenza rappresentata e violenza evocata. Rappresentare abusi, lobotomie e sopraffazione richiede una misura sottile: troppo crudo rischia di diventare scioccante, troppo edulcorato rischia di banalizzare.
Il film assume un valore culturale rilevante, perché illumina storie dimenticate e istituti rimossi dalla memoria collettiva: luoghi che hanno sfruttato donne e bambini ai margini della società. Il richiamo al passato non è retorico: suggerisce che le tracce di questi abusi persistono e che la memoria ha un compito etico. In termini estetici e simbolici, l’opera può essere letta come metafora dell’oppressione patriarcale, della cancellazione della soggettività femminile e della mercificazione del corpo della donna e del bambino come oggetto di scambio. In questo senso, Château La Belle funziona anche come poesia dell’angoscia: il “castello” evoca potere e prigionia; la “belle”, la bella, diventa corpo sfruttato, privata della sua umanità.
Château La Belle è un progetto ambizioso e necessario: un cortometraggio animato italiano che non teme di indagare la violenza, il silenzio e l’abuso, e di farlo attraverso un linguaggio visivo simbolico e potente. Pur senza poter visionare l’opera completa, il materiale disponibile suggerisce un lavoro di grande forza etica ed espressiva. È consigliato a chi ama il cinema d’animazione impegnato, le riletture storiche degli abusi istituzionali e chi crede nel potenziale del cortometraggio come forma d’arte civile e politica. Si auspica che l’opera trovi ampia circolazione nei festival e negli spazi di dibattito, perché un tema così importante merita di essere visto, discusso e condiviso.
Château La Belle – Regia e sceneggiatura: Simona Nobile, Gianmarco Serra; animazione: Isabel Herguera; montaggio e musica: Gianmarco Serra; effetti visivi: Ane Ibargoyen, Laida Ruiz, Maider Fidalgo, José David Portales; produzione: Diego Herguera Acosta per Sultana Films; origine: Spagna/Italia, 2025; durata: 15 minuti.
