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Voto
Nello scrivere sul film argentino Belén, è, per me, necessaria una premessa. Quando si parla di diritti, di lottare per essi e alla fine conquistarli è sempre una cosa buona, così ho letto una volta, ma devo dire che l’interruzione di gravidanza è molto delicata, per chiunque. Per la ragazza e la donna sopra a tutti e sopra ogni cosa.
Belén, secondo lungometraggio di Dolores Fonzi, racconta una storia vera, avvenuta in Argentina nel 2014, a Tucuman: Belén è un nome fittizio, dietro cui si cela quello vero della protagonista, interpretata dalla bravissima Camilla Plaate, affinché la ragazza diventasse un simbolo e non un personaggio cannibalizzato dai media e da coloro che comunque l’avevano sostenuta durante un vero e proprio calvario. Che lei vorrà dimenticare, restandosene in pace lontana dal mondo.
Belén arriva in ospedale con forti dolori alla pancia, chiede di andare in bagno, e si risveglia in sala operatoria, dopo qualche secondo, la polizia la ammanetta facendole vedere in una scatola il feto che poco prima, in bagno, ha ucciso. Per questo viene arrestata e giudicata colpevole di omicidio aggravato. Otto anni di carcere dopo averne già scontati due, per una difesa volutamente incompetente. La verità è che la ragazza ha avuto un’interruzione di gravidanza spontanea, senza sapere di essere incinta.
La sua storia di terribile ingiustizia sarebbe potuta finire qui, se non fosse stato per l’avvocato Soledad Deza, interpretata dalla stessa regista Dolores Fonzi, carismatica nella finzione come nella vita reale, che la prende a cuore e inizia un cammino difficile ma determinato, che porta, grazie al suo coraggio e alla sua tenacia, a manifestazioni in favore di Belén e poi, più in generale, dei diritti delle donne.
In Concorso allo scorso Festival di San Sebastián, Belén è formalmente e tecnicamente perfetto, è girato da fare invidia ai film americani sempre di gran livello da questo punto di vista, ma “fellinianamente” ingenui, se questo avverbio potesse esistere. La storia della donna è invece dura, profonda, fondamentale, per far sì che il cinema, esperienza a mio avviso quasi sempre individuale, diventi motivo di solidarietà, comunione e comunicazione tra nazioni e società differenti, mosse da sentimenti e principi universali.

Le protagoniste del nostro film credono nella vita, perché lottano, a volte stanche, ma sempre incrollabili, per la verità, per salvare la vita della ragazza e darne testimonianza a favore dei diritti della donna, della sua emancipazione e della sua libertà. La parte iniziale di questo interessantissimo film si concentra sul volto della ragazza, sul suo dramma inspiegabile, fatto di tortura fisica e psicologica, tanto da suggerire il ricordo del viso della Giovanna D’Arco di Carl Theodor Dreyer. E addirittura da creare una scena tra le più aberranti, per me, mai vista al cinema. Quella cioè di quando Belén è costretta da una poliziotta a vedere il male ha causato in una scatola di cartone. Inevitabilmente lo spettatore resta indignato e da questo momento in poi sempre più attento all’evolversi della presa di coscienza, prima di un piccolo gruppo di donne, poi collettiva, a favore della verità e la giustizia. Sebbene il talento registico di Dolores Fonzi rifulga soprattutto nelle scene convulse della distruzione di una vita innocente, anche nella seconda parte del film, più tradizionalmente classica, esso emerge rendendo la sua opera coinvolgente e necessaria.
Gli incontri in carcere tra le due protagoniste, Belén e Soledad, rientrano nei canoni del legal thriller, ma la sensibilità della regia di Dolores Fonzi rende romantici questi momenti: entrambe sono tristi se non disperate, ma, nello scambio dei loro sguardi, rinasce la determinazione e la speranza di uscire da un incubo ingiusto e insostenibile. Qui, in questo rapporto sta principalmente la bellezza dell’intero film – la sua forza, la sua sincerità, la sua compassione rendono vulnerabile un intero sistema giudiziario e obbligano ad prestare attenzione alla libertà delle donne di un intero paese.
Ritornando, infine, alla premessa iniziale, è comunque difficile eludere la domanda su ciò che è o non è vita. La risposta a ciascuno di noi.
Su Prime Video dal 14 novembre.
Belén – Regia: Dolores Fonzi; sceneggiatura: Laura Paredes, Dolores Fonzi, Agustina Martin; fotografia: Javier Julia; montaggio: Andres Pepe Estrada; musica: Ines Olivero; interpreti: Dolores Fonzi, Camila Pláate, Laura Paredes, Julieta Cardinali, Sergio Prina, Luis Machín, César Troncoso, Lili Juárez, Ruth Pláate; produzione: Arturo del Rio; origine: Argentina, 2025; durata: 105’; distribuzione: Prime Video.

Ho appena vissto in sala il film di cui Alessandro Ricci espone la propria lettura e visione critica. Sono pienamente d’accordo con questa chiave interpretativa del senso della storia narrata dalla regista. Trovo anche io il punto di forza vincente di tutto il film nel superamento di storie simili che pero’ si pongono in modo ingenuamente felliniano. Ringrazio Alessandro per queste illuminazioni.