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Voto
L’incomunicabilità condanna a una doppia condizione: non poter farsi capire e non essere capiti. Da una parte bocche sfiduciate, dall’altra orecchi sì condiscendenti ma non per certo comprensivi. Nel mezzo parole che perdono quota per la zavorra dei ricordi, a malapena raggiungono il microfono di un registratore. Arantza Santesteban Perez è la donna dell’incomunicabilità, lei che non si sente eroina e non vuole film su di lei, per questo rintanata dietro il finestrino di un auto. Parla da lì, a protezione di se stessa, a protezione di ciò che è stata.

918 Gau, nome basco per ‘notti’, è il numero di giorni trascorsi dalla regista Arantza Santesteban Perez dietro le sbarre di una prigione. Era il 4 ottobre 2007 quando veniva condotta in carcere: la sua colpa quella di essere un’estremista di sinistra, la sua pena quella di ritrovarsi con una vita infranta, lontana dal ricostruirsi. Il film inizia da un giorno qualsiasi dopo la scarcerazione – ormai le giornate hanno perso il loro peso -, e non va molto lontano: i ricordi del tempo passato là dentro, le relazioni intercorse, le persone incontrate e tra le quattro (strette) mura ammattite, le lettere dei compagni di partito dal destino simile. Tutto si accumula per bocca della protagonista che rivanga parole e foto, intervallando scene nel quale il ricordo si fa desiderio, corpi che assaggiano corpi, e la contemplazione di un presente, fatto da boschi e versi distanti di uccelli, impossibile da sganciare dal passato.
Il film è un sottile puzzle. Puzzle perché costellato di collage di fotografie ‘rubate’ ad altri o recuperate dalla stessa Arantza, sottile perché non permette che tali fotografie siano osservate in modo globale, dall’alto, bensì è preferita l’indagine lenta, fotogramma per fotogramma, come se il lento corpo della mdp si trascinasse per stanchezza, quella mnemonica. Sopra tutto una voce, una voce che racconta tante vite per cercare di narrare la propria, voce che a volte si fa catturare dal registratore a volte va alla deriva senza necessità alcuna di volersi ritrovare.
A questi pescaggi in superficie si alternano poi lunghi piani sequenza tra musiche psichedeliche e corpi in movimento, laddove l’incomunicabilità non solo diventa visibile ma pure tende a un blu metallico, simile al suono dei corpi che ballano vicino e cozzano tra loro. È un suono acuto e solitario. Quello che si cerca, soltanto suggerendolo a bassa voce, è un punto di ritrovo, qualcuno che a quel punto di ritrovo ci sia e qualcosa a segnalarlo. Per esempio, delle zebre.
È infatti a tre quarti della stessa che la pellicola si ritaglia uno spazio di parola per aprirsi un livello superiore senza dimenticare l’origine derivata dal singolo, da Arantza. Un compagno della protagonista le legge una lettera ricevuta da un terzo, nella lettera si racconta di un punto d’incontro stabilito da e per gli uomini del partito nel caso avessero avuto problemi. Il punto d’incontro è allo zoo, vicino alle zebre. L’uomo spende pomeriggi accanto a questi animali e con il tempo ci entra in confidenza tanto da potersi permettere una domanda che ha il sapore dell’impertinenza saggia dei bambini: “Voi siete asini neri con strisce bianche o viceversa?”, a cui le zebre rispondono: “Sono gli attivisti come te buone persone con cattive abitudini o cattive persone con buone abitudini? Sono persone rumorose che hanno momenti tranquilli o persone tranquille che hanno momenti rumorosi?”.
918 Gau è un film di supplice, orgogliosa richiesta che nella fuga dall’altro ricerca l’avvicinamento allo stesso. Non si indica allo spettatore la strada né lo si fornisce di una cartina, si fa un passo verso se stessi piuttosto che verso un’altra persona e a quest’ultima rimangono briciole fotografiche perché si provi a raggiungere il senso di qualcosa di profondo, incomunicabile. Il finale vede un fitto bosco e sterile arte novecentesca, un tritone affacciato su un lago oscuro e l’apparizione delle tenebre di qualcosa. Nell’aria risuona una frase: “la vostra lotta vi rende felici con occasionali giorni di tristezza o tristi con occasionali giorni di felicità?” ma la sensazione è che l’importante non sia né la risposta né l’animale in strisce bianche e nere che la pronuncia, quanto trovare quelle zebre per trovare lì, ad aspettare, qualcuno. Chiunque.
918 Gau/918 Nights – Regia: Arantza Santesteban Perez; sceneggiatura: Arantza Santesteban Perez; fotografia: Maddi Barber; suono: Xanti Salvadore; colore: Lara Villanova; interpreti: Arantza Santesteban, Mirari Echavarri, Mercé Salom, Manon Praline, Maryann Peony; produzione: Txintxua Films, Hiruki Filmak, ETB-EITB – Euskal Irrati Telebista ; origine: Spagna, 2021; durata: 65’.
