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Il premio che la giuria di Encounters (la sezione competitiva parallela voluta da Carlo Chatrian e giunta alla terza edizione) ha deciso di conferire a MUTZENBACHER di Ruth Beckermann, suona un po’ come un meritatissimo premio alla carriera di una delle voci più originali del documentarismo europeo.

Beckermann (1952) è viennese, di origine ebraica, figlia di sopravvissuti alla Shoah, e ha alle spalle una quindicina di documentari, all’inizio squisitamente politici, successivamente incentrati su un articolato progetto memoriale che si dispiega fra l’Austria (segnatamente Vienna), l’Europa orientale (da dove proveniva il padre) e Israele, un lavoro capillare che ha dato vita a film di assoluto rilievo, fra i quali spiccano in particolare Wien Retour (1983), Die papierne Brücke (1987), Jenseits des Kriegs (1996) e più di recente due film eccellenti, entrambi passati a Berlino negli anni scorsi ossia The Waldheim Walzer (2018), il film sulle elezioni di Kurt Waldheim a presidente della Repubblica Austriaca, autentica svolta nella consapevolezza memoriale degli austriaci e l’ancor più bello Die Geträumten (2016), sul carteggio dell’amore impossibile fra Paul Celan e Ingeborg Bachmann, primo film in cui – seppur da un’ottica straniata – Beckermann si avvicina alla letteratura.
Anche MUTZENBACHER – chissà perché in maiuscolo – che non reputiamo il suo lavoro migliore è, in qualche misura, una trasposizione letteraria, se possibile ancora più straniata di Die Geträumten (dove un attore e un’attrice leggevano brani delle lettere di Celan/Bachmann in uno studio radiofonico e poi, negli intervalli, parlavano di sé, si avvicinavano, in qualche misura a loro volta si innamoravano).
Qui invece ci troviamo in uno studio cinematografico/capannone di una fabbrica dove la regista ha piazzato un sofà stile bordello e un altro divanetto altamente allusivo. Su quel sofà si siederanno centinaia di maschi chiamati a leggere brani o discutere i temi e le questioni di Josephine Mutzenbacher celeberrimo best-seller erotico-pornografico del 1906 che suscitò uno scandalo enorme e restò all’indice dei libri proibiti fini agli anni ‘60. Nel corso dei decenni il libro è stato anche oggetto di una diatriba filologica mai del tutto risolta, perché il libro uscì anonimo recando nel sottotitolo la dicitura “la storia di una prostituta viennese da lei stessa narrata”. Nessuno ha mai creduto a quel sottotitolo, è opinione condivisa che in realtà il libro sia stato scritto da un maschio – e l’autore per più lungo tempo accreditato, fu Felix Salten (1869-1945), scrittore fra i più noti nel fine secolo viennese, celebre soprattutto come autore di Bambi. Nel frattempo l’ipotesi non è più considerata plausibile. Resta il fatto che il libro rappresenta convenzionalmente un esempio fra i più famigerati di quelle che il sociologo tedesco Klaus Theweleit chiamò Männerphantasien, ovvero le fantasie virili.
Ciò detto, in che cosa consiste l’operazione compiuta da Beckermann? Consiste nel leggere, discutere, esibire tali fantasie in relazione a questo libro dando vita a una sorta di casting. I molti uomini convocati appartenenti alle più diverse età (si tratta evidentemente solo di una piccola parte, il film è in larghissima parte frutto del montaggio) stanno a rappresentare una serie di possibili reazioni a fronte di questo libro scandaloso: vergogna, disgusto, piacere, entusiasmo. La regista – e non è la prima volta che lo fa – senza essere mai inquadrata pone domande, servendosi di un tono piuttosto freddo e anzi leggermente provocatorio, quasi a voler, più di cento anni di distanza dalla pubblicazione del libro, rovesciare le posizioni di potere che presiedevano a quel volume scandaloso: se nel 1906 il potere maschile si era servito di Josefine per dare sotto mentite spoglie libera espressione alle proprie fantasie facendole passare per i perversi desideri autenticamente femminili di una sorta di Lolita ante litteram, adesso con le domande e la macchina da presa Beckermann inverte i ruoli. È lei che ha il potere in mano: il potere di porre domande, il potere di decidere come inquadrare i maschi, il potere di quanto tempo concedere a ciascuno di loro, il potere del montaggio. Non solo: ad alcuni, soprattutto a chi si presenta in coppia, la regista fa anche recitare delle scene “erotiche”.
Ma, forse, il massimo dello straniamento, qui decisamente brechtiano, Beckermann lo attua in alcune scene corali, in cui vediamo in campo lungo un centinaio di maschi (molti dei quali non hanno neanche avuto l’onore di una scena singola) recitare, in coro per l’appunto, alcune delle frasi del libro. C’è una frase in particolare che riporta tutte le varianti tedesche, viennesi, vernacolari del verbo scopare che la regista fa ripetere alcune volte ai tanti maschi presenti, provocando una ilarità decisamente ridicola. Ciò finisce – cosa in fondo rara nella sua filmografia – per far diventare il film decisamente ideologico. Ed questa è una delle ragioni – siamo pur sempre a Berlino – per spiegare anche il motivo del premio a un’opera non straordinaria di una autrice che è e resta di grandissima qualità.
Cast & Credits
MUTZENBACHER; regia, sceneggiatura: Ruth Beckermann, Claus Philpp; fotografia: Johannes Hammel; montaggio: Dieter Pichler; produzione: Ruth Beckermann Filmproduktion; origine: Austria, 2022; durata: 100′
