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Voto
Domenica sera, lo scorso 20 Febbraio, si è conclusa la Berlinale. Dopo le premiazioni di mercoledì 16 e sette giorni molto concentrati e faticosi, dedicati soltanto agli addetti ai lavori, per quattro giorni il Festival si è aperto anche al pubblico della città. Con dei risultati spesso non esaltanti: molte proiezioni sulla carta risultavano sold out ma le sale pur lavorando al 50% della loro capienza lasciavamo intravedere molti posti vuoti. Fare delle rush line per fare entrare all’ultimo minuto anche gli accreditati sarebbe stato una cosa buona e facile da organizzare ma a quanto sembra la cosa non era possibile. Ok, fine del piccolo sfogo.
Comunque sia, siamo riusciti, a recuperare negli ultimi giorni alcune opere non appartenenti alle due sezioni a concorso. Così tra le moltissime pellicole a tematica femminile, vogliamo allora parlare di un film – vincitore del primo premio del pubblico in “Panorama” – proveniente da una zona del mondo il cui cinema è abbastanza poco conosciuto, il Kazakistan.
Eppure il regista di Baqyt (il cui titolo internazionale è Happiness), Askar Uzabayev, classe 1983 e fondatore della casa di produzione “567 Creative Laboratory Studio” in Almaty, a meno di quarant’anni, vanta – a stare alle note di accompagnamento del press-book- una filmografia di tutto riguardo: ben 16 lungometraggi, tra cui alcuni di successo nelle sale del proprio paese, oltre a diverse sceneggiature e lavori di produzione.
Tale consumata esperienza si può riscontrare e ritrovare in questo suo film che – a quanto ci dato di capire – risulta essere il primo a varcare le soglie di un grande festival internazionale e anche nella sua confezione, a tratti patinata, aspira ad un audience non solo nazionale, partendo da un tema caldo della società kazaka: la terribile situazione della donna nella scala gerarchica e familiare.
Il plot si ispira alla biografia di Bayan Maxatkyzy (per altro produttrice del film in questione) e agli eventi che le hanno sconvolto l’esistenza. Anchorwoman televisiva, bloggista, attrice, produttrice di grande successo in patria, con un vastissimo eco nei social media, la donna è stata vittima nel 2026 di un atto di criminale violenza casalinga da parte del marito con cui era sposata da 22 anni. In quella occasione era stata ripetutamente colpita con un coltello al corpo e al volto: dopo mesi di ospedale è potuta per fortuna tornare alla vita di tutti i giorni mentre l’uomo è andato a finire giustamente in prigione.
Insomma si è trattato di un tragico esempio di violenza domestica, diffusa non soltanto in Kazakistan ma purtroppo in tutto il mondo che, però, la legge di quel paese, ancora estremamente patriarcale e retrogrado sotto molti aspetti, tende bellamente se non ad ignorare, di fatto a sottovalutare. Con Baqyt, allora, nel trattare, sceneggiandolo, un fatto realmente accaduto che ha avuto un eco molto forte in patria, si è voluto lanciare un grido di dolore e un’accusa che potesse andare molto al di là dei confini di quel paese a cavallo tra l’Asia e l’Europa.
Di fatto il film di Askar Uzabayev racconta in maniera piuttosto pop la vicenda di cui si è detto, polarizzando la narrazione tra la figura del marito (Yerbolat Alkozha), iracondo e primitivo, e quella di una bella donna in carriera (Laura Myrzakhmetova), la quale vende in abito arancione shocking, durante dei veri e propri show in cui si esibisce con una scaltra e ipnotica messa in scena, una linea di cosmetici. Che si chiama “Happines” e che promette miracolosamente a chi acquista quei prodotti, appunto felicità e capacità di affermarsi nel mondo. Di contro al suo successo nel marketing, in casa la sua è una vita d’inferno, dominata da aborti, un uomo violento e cavernicolo che la picchia di frequente, e una figlia alle prese con un matrimonio combinato, che pende dalle labbra del padre – di fatto la ragazza lo appoggia contro la madre, non capendo, che così si perpetua anche per lei un cammino di sudditanza e di sofferenza.
Svirgolando tra vari generi e stili, Baqyt, dunque, vuole diventare una specie di asso pigliatutto: da un parte strizza l’occhio a musica e a tradizioni folkloriche locali con l’intento di catturare l’interesse antropologico dello spettatore straniero, dall’altra esplora l’animo kazaco con le sue idee e ritualità ataviche, passando così dal dramma, all’horror e a scene di violenza efferata, per raccontarci una triste, terribile storia di dipendenza, infelicità e abusi familiari.
In più la lunghezza e dei detour narrativi abbastanza pleonastici, non aiutano un film pieno certo di buoni propositi, intenzionato a denunziare – come si esplicita nei cartelli finali con l’indicazione delle 400 donne morte ogni anno per violenze casalinghe – il perpetuarsi smisurato di femminicidi in Kazakistan.
Forse una mano femminile nella regia ci avrebbe consegnato, a partire dallo stesso plot e con le stesse intenzioni, un prodotto meno stereotipato e più autentico nel risultato finale. E comunque è per noi abbastanza sorprendente che nessuno dei tre premi di Panorama sia andato al meraviglioso Until Tomorrow dell’iraniano Ali Asgari (https://close-up.info/7306-2/), in assoluto uno dei più bei film visti a Berlino 2022.
Cast & Credits
Baqyt/ Happiness – Regia: Askar Uzabayev; sceneggiatura: Assem Zhapisheva, Askar Uzabayev; fotografia: Max Zadarnovskiy; montaggio: Aset Mamyrov; musica: Bagym Mukhitdenova; interpreti: Laura Myrzakhmetova (La donna), Yerbolat Alkozha (Il marito), Almagul Sagyndyk (la figlia), Dias Myrzakhmet (il marito della figlia), Azharlym Magzum (Avvocatessa); produzione Bayan Maxatkyzy per BM Production (Almaty); origine: Kazakistan 2022; durata: 131’.
