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Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? In tanti hanno provato a rispondere a questa domanda; a offrire la propria versione del concetto. Che poi l’amore sarebbe qualcosa di molto ampio, materia che fa rima con donarsi, con offrire tutto di sé all’altro, al prossimo (anche) sconosciuto. Faccenda umana che può arrivare ad essere modo di stare al mondo, stile di vita ed essenza di ogni relazione. Vabbè, discorso lungo, enorme. E bello! Ma l’attenzione, di fronte a questa antica, eterna, gigantesca domanda, cade facilmente su due persone che vivono un sentimento reciproco, fatto di attrazione e affetto, di un magnetismo magico attorno al quale, però, a poco a poco – oppure immediatamente – germogliano elementi ostinati a prendere a mazzate l’idillio. Si possono chiamare nemici (interni ed esterni) della coppia, da riconoscere come tali prima di – e per – combatterli.
La serie Fedeltà, diretta dal regista Andrea Molaioli e Stefano Cipani, tratta dal romanzo omonimo di Marco Missiroli (finalista premio Strega nel 2019) e interpretata da Michele Riondino e Lucrezia Guidone, ne individua un paio (tra i tanti) e li mette nel motore del racconto: sono la gelosia e il desiderio di altro esterno alla coppia. Pensieri più o meno ossessivi che, scatenati da un malinteso più o meno tale, imbizzarriscono la vita di due sposi in una Milano accogliente, quasi sempre borghese, di luci notturne e soffuse, di parchi ospitali e di qualche monumento, di una capatina nella periferia estrema e notturna con rapido rientro tra il tepore delle librerie e delle aule universitarie, di locali dalle gradevoli atmosfere e di case confortevoli.
Lui, Carlo, fa l’insegnante (bravo e appassionato) di scrittura creativa all’università, mentre sta lavorando al suo secondo romanzo. Lei, Margherita, è architetto ma lavora, con dimessa attenzione, in un’agenzia immobiliare. Un misto di sogni verbalizzati e tacita frustrazione li accompagna; l’affinità psicofisica, impastata con l’accettazione di un quotidiano effervescente ed imperfetto, li rende inquieti e dinamici. L’idea di comprare una casa coi fiocchi li compatta e li energizza, forse dopando un pochino la loro crisi latente. Finché Carlo non incrocia l’energia e il fascino di una studentessa bella e brillante (non sappiamo per buona parte dei sei episodi cosa di fisico ci sia stato tra loro) e Margherita inizia a sgretolare la roccia su cui la loro casa sentimentale poggiava, allineandosi agli occhi di ghiaccio del suo fisioterapista dal dopolavoro rude e misterioso.
In poco tempo la situazione precipita, volano stracci e domande, riflessioni e accuse. Prendono potere i fantasmi che dipingono la gigantografia del malessere e le vie degli sposi si separano. Senza tuffarsi nell’abisso kubrikiano di Eyes Wide Shut, senza descrivere il dolore lancinante di Marriage Story (2019) di Noah Baumbach, senza nemmeno attraversare certe conseguenze dell’amore della recente Scene da un matrimonio (2021) di Haghai Levi, questa serie italiana ci parla di un matrimonio che sembrava figo ed attrezzato e si rivela fragile come un’elegante barchetta in mezzo alla tempesta. Della solitudine e della denutrizione di cui questo può soffrire se la domanda principale riguarda la fedeltà a se stessi o all’altro/a, e non si interroga minimamente sul significato del matrimonio, sul suo potenziale, sul suo valore per le persone che lo vivono e sulla sua funzione per la società tutta.
Se da una parte il viaggio nel mondo interiore dei protagonisti è, al netto di qualche stereotipo, tutto sommato verosimile (le paure, i desideri, i dubbi di Carlo e Margherita non sono quelli di due alieni), non ci dice mai che non basta volersi bene, piacersi, essere scevri da insicurezze per rendere forte, fertile, costruttivo un matrimonio. Non ci dice che prima di entrare in questo viaggio straordinario e impegnativo, inevitabilmente costituito da salite, anche ripide, da territori sconosciuti e impervi, la prima cosa da sapere è cosa un matrimonio sia. Cosa vuol dire decidere di compiere quel passo. Nel raccontare il silenzioso saltare in aria di due ragazzi normali, dunque, Fedeltà sembra certificare che al matrimonio si acceda con pericolosa superficialità, se non con diffusa inconsapevolezza, e al tempo stesso sembra assecondare l’idea dominante che un matrimonio sia troppo complesso, artificioso, contorto e delicato per sopravvivere in questo tempo sempre più frammentato e di relativismo generale. Che la corrente tiri troppo forte in direzione contraria per tentare la navigata, anche quando ci si vuole bene e si è speciali uno/a per l’altra/o, come il finale sospeso di Fedeltà lascia intendere. È una serie su questo tempo, quindi, Fedeltà, che nel cercare di illuminare zone d’ombra dei sentimenti umani, lo fotografa e in qualche modo lo accompagna, senza accendere i fari su una strada nuova. E di antica sapienza. Che non vuol dire assolutamente accettare passivamente un amore tossico, ma proteggere la bellezza di una relazione autentica dai lupi in agguato.
Su Netflix dal 14 febbraio 2022
Fedeltà – miniserie tv ideata da: Alessandro Fabbri, Elisa Amoruso, Laura Colella; stagioni: 1; episodi prima stagione: 6; regia: Andrea Molaioli e Stefano Cipani; fotografia: Gogò Bianchi; montaggio: Lorenzo Peluso; musiche: Teho Teardo; interpreti: Michele Riondino (Carlo Pentecoste), Lucrezia Guidone (Margherita Verna),Carolina Sala (Sofia Casadei), Leonardo Pazzagli (Andrea), Maria Paiato (Anna Verna), Maurizio Donadoni (Paolo Pentecoste), Maurizio Lastrico (Marco); produzione: Angelo Barbagallo e Matilde Barbagallo per BiBi Film, Netflix; origine: Italia, 2022; durata: 40′ a episodio.
