Ho incontrato Letizia Battaglia a Palermo alla fine dell’inverno del 2006. Franco Zecchin, suo ex compagno di vita e di lavoro al quotidiano “L’Ora” di Palermo per quasi vent’anni, ci avrebbe raggiunto da Marsiglia dove viveva all’epoca. Tra Franco e Letizia (18 anni in meno lui, 19 anni insieme) c’era quella complicità e quell’assenza di filtri che c’è tra gli ex amanti di una vita precedente. Franco esile e fluttuante con il suo accento diventato quasi francofono, Letizia solida come una quercia ben piantata, con la sua voce ammaliatrice, roca di pacchetti di sigarette di decenni e decenni. Ho fatto le riprese a Palermo in cinque giorni. Stavamo lavorando alla serie Scatti di nera per Fox crime. Letizia e Franco ci hanno raccontato l’assassinio di Piersanti Mattarella, del giudice Costa, di Peppino Impastato, la Palermo del traffico internazionale di droga, la fine di una oscura tenerissima prostituta di trentotto anni.
L’idea alla base della serie era di Pietro Balla: affrontare storie di nera attraverso il racconto dei fotoreporter che per primi arrivarono sul luogo del delitto. Loro le immagini e loro le parole. Solo foto in pellicola e dunque limite temporale gli anni ’80. In Sicilia andai io.
1982, una fotografia.

Nerina faceva la prostituta. La mafia l’ha uccisa perché non aveva rispettato le regole, aveva iniziato a vendere la droga. Letizia arrivò nell’appartamento al terzo piano di Piazza sant’Oliva e fotografò la donna morta, accasciata di lato sul bracciolo della poltroncina di velluto, i fori dei proiettili non si vedono nemmeno. Se non fosse per il sangue rappreso lungo il braccio sembrerebbe addormentata: “aveva una maglietta nera, era molto garbata, una figura garbata nella morte”, dice Letizia. Sulla parete dietro di lei il poster con l’icona pop Carmen Russo, topless gagliardo, scarpini da calcio e pallone in mano, la scritta Carmen Mundial: “ A terra gli altri due uomini freddati dai killer. Letizia racconta che era la prima volta che vedeva una donna ammazzata: “la morte fermata con la violenza è sempre qualcosa che ti fa pensare, ti fa stare male. Quell’emozione che nasceva di fronte al delitto non mi ha abbandonato mai. Quando scelgo le foto per stamparle, mi ritorna quel senso di nausea. Queste cose segnano sempre”.
Il 1982 è l’anno dell’escalation di omicidi a Palermo, il contesto me lo spiega Franco Zecchin, lui ha accettato di partecipare al nostro progetto solo se si può fare un discorso politico più ampio. Letizia lo interrompe: “Dal 1979 c’era la presenza sempre più massiccia e militarizzata della polizia, e il dilagare della piaga dell’eroina tra i giovani di Palermo. I morti di overdose iniziano a riempire le statistiche. E poi ci dicevano: correte a via Di Blasi, prendevamo la vespa. E lì c’era la disperazione dei poliziotti. Avevano ucciso Boris Giuliano. Non l’abbiamo fotografato e sono contenta. Giuliano fu il primo poliziotto che non non consideravamo sbirro”.
1979, un’altra fotografia.
Il 25 settembre veniva assassinato Cesare Terranova, consigliere istruttore del tribunale di Palermo. Per due legislature eletto nelle liste PCI e membro della commissione antimafia. Stava indagando su casi scottanti e sul traffico internazionale della droga. E’ stato il magistrato che aveva inchiodato a Milano nel 1974 Luciano Liggio, la “primula rossa” di Corleone.
Letizia sparge le foto sul tavolo del soggiorno al primo piano. Le aveva già selezionate, così come aveva già selezionato una rosa di storie da propormi. Prende in mano una foto. E’ colpita dal fatto che il corpo del giudice Terranova fosse irrigidito quasi in atto di tenerezza con la mano tesa verso quello della sua guardia, Lenin Mancuso, ferito a morte al suo fianco.

Questa è Letizia: lo sguardo accompagnato dalla voce che trova parole e forme da coagulare come sangue in uno scatto.
C’è un’idea di politica, c’è un senso dello Stato che è degli uomini per gli uomini, e non dei potenti per il potere in sé. C’è un’idea di umanità dolente, perdente, c’è il riscatto in un gesto, un dettaglio pronto a rivelarsi dietro l’obiettivo della sua Pentax K1000 (che costava meno della Leica). Letizia ha un modo (che io voglio pensare materno e femminile) per tenere insieme la morte e la vita. I suoi scatti hanno il potere di catturare la metamorfosi.
L’appuntamento era a casa di Letizia. Non sapevo chi mi sarei trovata di fronte a Palermo, mi ricordo un palazzetto antico, di pietra chiara, stretto e alto, su più piani. La casa era accogliente come lei. Non c’era l’impianto di riscaldamento. E d’inverno come fai? Mah, mi copro bene e resto a lavorare nel letto, sotto le coperte. Ci arrivammo a piedi, Letizia ci venne ad aspettare in una via più grande dove ci lasciò il taxi. Al piano terra, uno studio? Lì volle che facessimo le riprese per la sua intervista (battagliando un po’ con il direttore della fotografia per il posizionamento delle luci, mentre io me la ridevo pensando che non era spigolosa – come molti la definirono – non era forse lei maestra della luce?). Mi pare lì in basso ci fosse il suo archivio e anche il luogo dove teneva i volumi pubblicati dalla sua casa editrice “Edizioni della battaglia”, con la “b” minuscola.
Un giorno a pranzo ci portò a mangiare la frittura squisita in una baracchetta di legno dipinta di rosa e nero (i colori della squadra di calcio), e una sera ci invitò a casa di sua figlia Patrizia, non ricordo perché. Forse solo per farcela conoscere, per bere un bicchiere di vino insieme. Quando la figlia scese a comprare il vino, Letizia mi disse che stava vivendo un brutto momento, si era lasciata da poco con il marito, il violoncellista Giovanni Sollima. Da madre soffriva per Patrizia (gli uomini sono degli stronzi, andarsene… i figli piccoli) ma Giovanni era così affascinante, talentuosissimo. Gli avrebbe perdonato tutto.
Palermo l’ho conosciuta tramite Letizia Battaglia (classe 1935), una donna che ha fatto reportage rimanendo nella città dove viveva, cominciando una nuova vita a 34 anni, quando la maggior parte delle donne, sposate e con tre figlie, la vita l’avrebbero considerata segnata.
L’ultimo giorno insieme ci ha chiesto se volevamo approfittare per acquistare qualcuno dei libri, stava chiudendo la sua casa editrice e ce li avrebbe dati sottocosto. Io e il direttore della fotografia Walter Balducci ci siamo gettati a capofitto. Erano edizioni bellissime. Carta ruvida e grammatura pesante, fotografie all’interno, sue e di altri eccezionali fotografi, grafica curata, i nomi delle collane: “Quadernetti”, “Quaderni”, “Pictures&paroles”, “Offborder”, “Insula sic(!)”, “Junk books”.
Le foto di Santi Caleca, Ernesto Battaglia, Nicola Scafidi, Franco Zecchin restituiscono storie pesanti come macigni sulla coscienza collettiva del nostro paese e non solo della Sicilia (terra di esperimenti). Gli autori: Roberto Andò, Raul Ruiz, Goffredo Fofi, Aurelio Grimaldi, Vincenzo Consolo, Anselmo Calaciura, Nuccia Cesare, Marilena Monti, Gabriella De Fina, Carla Rostagno, Roberta Torre.
Letizia ha sempre lavorato contro la strategia della rimozione e dell’occultamento. Tiro fuori dalla mia libreria il cofanetto delle Edizioni della battaglia. In copertina, stampata su carta traslucida c’è una foto in bianco e nero di Franco Zecchin che ritrae una donna africana in primo piano ammantata come una madonna col bimbo in braccio, sotto una tenda, una bambina in piedi a fianco. Guardano tutti in direzioni diverse. La giovane madre in basso, la ragazzina dall’altra parte in alto.
Sfoglio a caso il primo volumetto della collana “Quaderni”, anno 1993, titolo La società rivoltata, autori Mario Capanna, Gaspare Nuccio, Ivan Verga. Lo sguardo mi cade a pagina 5 sull’inizio della frase: “Un documento della Casa Bianca, destinato alla segretezza e comparso invece sulla stampa, descrive nel ’92 quale dovrà essere l’ordine mondiale al passaggio del millennio: l’America continuerà a proteggere la sua egemonia; il Giappone dovrà contenere la Cina, rimanendo però subordinato agli USA; la Nato sarà uno strumento per influenzare e partecipare negli affari europei e, in particolare, per tenere sotto controllo la Germania; l’intervento diretto americano nel caso la Russia sfidi l’indipendenza delle Repubbliche limitrofe, come l’Ucraina; l’Onu avrà un ruolo di cornice, non protagonista; gli Stati Uniti dovranno consolidare in questo modo la posizione di unica superpotenza”.
Sulla ruvida carta di un colore celeste acqua si stampano i caratteri della frase conclusiva: “… è il prolungamento coerente del mondo rovesciato. Ma si può vivere a lungo rovesciati?”
E’ il 20 aprile 2022, Letizia Battaglia è morta da una settimana.
Foto in copertina @ Arturo Patten
