
Prodotto dall’Associazione Culturale Ticto, in collaborazione con Own Air, il docu-film Noi siamo Alitalia. Storia di un paese che non sa più volare, diretto da Filippo Soldi, nonché ultima fatica ideata dal produttore e ex dipendente Alitalia, Alessandro Tartaglia Polcini, è stato presentato ufficialmente qualche giorno fa al Teatro Palladium al cospetto di un pubblico composto in larga parte da un incredulo ex personale della ormai defunta compagnia di bandiera. Inutile usare termini diplomatici o tiepidi, per parlare di una fine annunciata da tempo e rimandata a suon di tagli e sangue.
Come non appassionarsi, a una storia, che ormai più che una vicenda economica e aziendale, è diventata un vero e proprio giallo, su cui si può addirittura, con una naturale spontaneità filmica, costruire una docufiction in cui si alterna la realtà alla finzione. Nel plot quattro giovani autori, incaricati da una casa di produzione cinematografica, devono scrivere una documentario sulla chiusura di Alitalia.
Nessuno di loro, però, è in grado di capire quasi nulla delle complesse questioni aziendali ed economiche che hanno condotto a questo infame risultato. I giovani chiedono, allora, di incontrare esperti che possano fungere da guide per poter approfondire le dedicate e incomprensibili questioni da analizzare per poter poi procedere con la sceneggiatura. E si trovano inaspettatamente a scoprire una realtà che ha avuto un impatto devastante sulla vita di molte persone e sull’intero paese.
Ma gli Italiani se ne sono davvero accorti?
Si parla attraverso la finzione di: nascita, ascesa e declino della compagnia aerea, più importante, e per molto tempo, più iconica del mondo. Non a caso è stata il simbolo dell’eccellenza italiana, del “made in Italy”, facendo apparire per anni il mondo dell’Alitalia, come una sorta di non luogo esotico e fantastico popolato da “fortunati piloti e assistenti di volo” (senza considerare l’enorme mole di lavoro di tanti livelli e di tanti dipendenti di ogni sorta). Non si può assistere alla proiezione di questo lavoro senza avere un groppo in gola, nel quale vengono posti innumerevoli quesiti, quasi fossero i grani di un rosario, attraverso descrizioni dettagliate quanto inesorabili di eventi solo apparentemente incomprensibili.
Le storie arrivano a cuore dello spettatore, quasi come fossero mille pugnalate, le stesse che hanno ucciso Giulio Cesare, in uno scenario shakespeariano, in cui l’azienda “tiranna” deve essere eliminata “per salvare” una fantomatica democrazia europea, con l’Alitalia nelle vesti del Tiranno ucciso vigliaccamente a tradimento, proprio da chi giurava di sostenerlo.
Anche qui, come nella tragedia, si evince nel profondo il rapporto fallimentare fra virtù pubblica e privata, fra ingenuo, stoico eroismo e senso politico dell’azione. I politici che si sono succeduti, sono sempre stati pronti a trarne benefici personali e clientelari, che addirittura potremmo definire “clanici”.
Nel dichiarare le loro intenzioni salvifiche, si “prodigavano”, abusando della parola, tanto da trasformarla in una sorta di fantasma della verità, ma anche in un mefistofelico e affascinante strumento di presa emotiva e di manipolazione delle coscienze. L’operazione di seduzione e abbandono si è perpetrata, cavalcando l’onda prima della speranza e poi della disperazione di coloro che avrebbero voluto salvare Alitalia.
Il risultato è stata quella morte annunciata, che invece tutti i più onesti esperti del settore avevano da sempre compreso, considerando le tante decisioni apicali, controproducenti e fuori da qualsiasi legge di mercato, che potesse rilanciare veramente la compagnia. Questo pensiero viene ben espresso attraverso sia i personaggi di finzione, che intervistano fonti reali della storia di Alitalia, tra cui il noto giornalista Gianni Dragoni del “Sole 24 ore”, che con dovizia e grande onestà intellettuale, spiega tutte le gestioni incomprensibili e autodistruttive.
Proprio questa drammatica biografia ha condotto tutto il Paese ad odiare un’azienda che era stata orgoglio e privilegio di tutti, includendo nell’immeritato livore anche i lavoratori, diventati agli occhi della gente e soprattutto a causa di certa stampa servile e opportunista: privilegiati, strapagati, e viziati da una società, che divora soldi pubblici come un pozzo senza fine. Nessuno ha, però, mai realmente parlato degli ingiustificati licenziamenti e tagli al personale, nonché agli stipendi, ormai al dì sotto di tutti i paesi europei.
Nel docufilm si comprende senza indugi, che quel pozzo non è altro che la gola di una politica senza scrupoli, che ha fatto di tutto per far la compagnia aerea fallire sfruttandola fino all’ultimo giorno. Per essere partecipi di questa grave vicenda italiana, basta pensare che è reale e non è impossibile ritrovarla ancora in tante altre storie emblema della decadenza del nostro paese.
Noi siamo Alitalia. Storia di un paese che non sa più volare – Doc. – Regia: Filippo Soldi; sceneggiatura: Filippo Soldi, Maria Teresa Venditti, Annamaria Sorbo, Alessandro Tartaglia Polcini; fotografia: Giuseppe Pignone; montaggio: Marco Rizzo; musica: Alessandro Michisanti; produzione: Associazione Culturale Ticto, OWN AIR e Alessandro Tartaglia Polcini; origine: Italia, 2022; durata: 54’ e 75’.
