This much I know to be true di Andrew Dominik

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Morte del diavolo

2015: Arthur, il terzogenito del cantautore Nick Cave muore in un tragico incidente, precipitando da una scogliera sul lungomare della cittadina inglese di Brighton. Dilaniato nell’animo, ma sempre lucido nel lento ed eterno dolore del lutto, il cantautore australiano compone otto canzoni che daranno forma a Skeleton tree, album che inevitabilmente trae linfa mortifera dalla scomparsa del giovane Cave, ma che dice molto più di quello che potrebbe apparire a un ascolto superficiale. Quel che conta è che con Skeleton tree (2016), Cave inizia un percorso del tutto nuovo della sua vita di musicista, nonché di pensatore intimo, individuo sprofondato nell’abisso dell’inconsistenza dell’anima, pronto a uscirne a grandi e lente falcate come un individuo quasi “illuminato”, consapevole di un mondo che a suo dire, non aveva compreso del tutto.

Quel lutto è la spinta che la vita da a Nick Cave e che lo stesso Cave cavalca a cuore aperto, intenzionato più che mai a comprendere quei lati della sua personalità e della propria spiritualità – intesa non meramente come attitudine di una ricerca divina, piuttosto, così come la intendeva Tarkovskij, nel ricercare il compimento della propria anima-individualità per raggiungere una lucida conoscenza artistica-materiale di sé. A Skeleton tree seguiranno il liberatorio Ghosteen (2019) e l’irruento e quasi mistico Carnage (2021). In This much I know to be true, diretto da Andrew Dominik, assistiamo alle riprese dei live in studio londinesi di alcuni brani tratti da questi tre album: ma la visione di Dominik non si sofferma su un punto di vista prettamente espositivo della brillantezza e della cupezza autoriale del cantautore australiano, bensì si focalizza su una presa di posizione logica e, a suo modo, addirittura rigorosa: Nick Cave ha svestito il sudario e ora indossa il camice da ceramichiere, artigiano maturo di emozioni divampanti, ma controllate grazie alla musica e a una consapevolezza della mortalità umana mai così luminosa.

Le riprese di This much I know to be true iniziano, difatti, proprio nel laboratorio in cui Cave ammette di aver lavorato a una serie di statuette di ceramica raffiguranti la vita del diavolo, dal suo concepimento, fino alla morte: proprio questa, accompagnata dalla pietà di un bambino che allunga la mano verso il demonio, per non lasciarlo solo nel momento più buio della sua esistenza. Quel primissimo piano di Dominik sulla statuetta finale, rafforzato dalla voce narrante di Cave, sprigiona furiosa commozione e pacato abbandono, testimonianza materiale di un’intuizione spirituale e corporale volta al raggiungimento di una serenità da tempo desiderata. This much I know to be true non è affatto un documento sul cuore diventato di tenebra di un artista che ha forgiato la sua inestimabile carriera immerso nell’oscurità dell’animo umano, tutt’altro sul disvelamento del vero e sull’accettazione di sé e del valore di quel poco ed effimero tempo che la vita mette a disposizione di ognuno di noi; quello che vediamo cantare, sussurrare e danzare non è solo un musicista perfettamente a suo agio in quel ruolo che abita da decenni, ma uno sciamano della luce coperto di tenue ombra, che dialoga con i fantasmi (il brano Ghosteen) e rassicura l’ascoltatore sull’attesa di un regno nei cieli  – quasi epifanica la performance collettiva dei Bad Seeds in Hand of God. Al suo fianco, il sodale Warren Ellis, stregone polistrumentista dalla voce di un bambino, compagno di Cave da dieci anni a questa parte, demiurgo di tessuti elettronici labirintici che in This much I know to be true tracciano righe di sceneggiatura, ergono cattedrali umorali e inchiodano lo sguardo e la mente e il cuore con sussulti magici e balsamici.

La macchina da presa di Domink volteggia e danza con Cave ed Ellis, si sofferma con audacia sul volto antico del cantautore e su quello solo all’apparenza mefistofelico dello sceneggiatore-musicista, cogliendone l’audacia, i tentennamenti e la forza con la quale riescono a mettere in scena uno show crudele e allo stesso tempo dolcissimo. This much I know to be true non si presta mai nemmeno per un secondo all’esaltazione dell’icona musicale, ma diventa compendio delle possibilità di rivincita sull’oscurità della vita, mettendo in luce la bontà di chi comprende e riesce finalmente a convivere con il dolore che gli appartiene. E lo dimostrano le brevissime ma incisive parentesi in cui vediamo un assorto ed emotivamente impegnato Cave alle prese con le numerose lettere a lui destinate e raccolte nel blog The red hand files: il segreto per lenire quel dolore, per guardare la vita che ci resta da un’altra prospettiva, per sopravviverle, si evince, sta proprio nel condividere quella stessa infinita sofferenza. Questo ci dicono con lieve gioia e dolce malinconia Cave e Dominik; questo ci dicono due grandi artisti e le loro opere.

In sala come evento Nexo Digital solo il 23, 24 e 25 maggio.


This much I know to be true – Regia: Andrew Dominik; genere: documentario, musicale; fotografia: Robbie Ryan; montaggio: Matthew C. Hart; musica: Nick Cave, Warren Ellis; interpreti principali: Nick Cave, Warren Ellis; produzione: Bad Seed Ltd, Uncommon Creative Studio; origine: Regno Unito, 2022; durata: 110’; distribuzione: Nexo Digital

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