Il mediometraggio (poco più di 40 minuti) Princesa della documentarista di origine sarda Stefania Muresu presentato a Venezia alle “Giornate degli Autori” parte da un assioma che potremmo definire pasoliniano, ovvero la presenza di una sostanziale koinè pagana e rituale che unisce il Sud del mondo.
Nel footage riportato dei titoli di coda, tratto dall’Istituto Luce, dall’Archivio della Cineteca di Bologna ma anche da un archivio privato nigeriano, troviamo materiale che riguarda la Sicilia, la Calabria e Haiti, oltreché appunto materiale proveniente dalla Nigeria (più o meno metà b/n e metà colore), paese di cui è originaria la protagonista del documentario, ovvero Favour Osazuwa, una immigrata arrivata in Sardegna che viene scelta ad esempio delle vittime della tratta delle schiave condannate a un perenne “debito” nei confronti di chi l’ha portata in Europa, un debito che sembrerebbe poter essere estinto solo svolgendo il lavoro di prostituta. Il film, ovviamente, intende affermare l’esatto contrario, invitando all’emancipazione e alla liberazione. In realtà il montaggio fortemente ellittico del film non fa capire se la protagonista ce l’abbia davvero fatta ad affrancarsi da questo giogo e venga dunque portata ad esempio della possibilità di emancipazione o se invece, al di là dei numerosi contesti in cui la vediamo agire, Favour è ancora almeno in parte prigioniera di questo mondo.
Il film fornisce segnali per entrambe le ipotesi: nelle parti sociologicamente più rilevanti del film assistiamo, accompagnati da una suora al volante, alla visita dei non-luoghi periferici e squallidi dove sono solite accamparsi e svolgere il proprio lavoro le ragazze provenienti dalla Nigeria, nelle scene invece che sono più incentrate sulla protagonista assistiamo a quello che sembrerebbe un itinerario di emancipazione individuale, culminante – ed è questo l’assioma, il paradosso del testo di Muresu – nella vestizione in un costume tradizionale sardo in vista di una processione, una vestizione che se da un lato sembrerebbe sancire la sua integrazione nella comunità di accoglienza dall’altro risulta condizionante, reificando almeno in parte la donna che viene quasi costretta in un costume che deve evidenziare in modo speciale alcune parti del corpo.
La manipolazione del corpo è e resta il tema principale di questo film, sia ogni volta che viene ad essere inquadrata Favour (splendida la scena in cui prova le diverse parrucche) sia anche nelle scene del passato tratte dagli archivi di cui si diceva sopra, fra le quali spiccano molte scene ambientate in un’Italia remota ma neanche troppo, nelle quali si parla della lotta rituale fra squali e pescecani, di malocchio e di donne invasate. Il montaggio risulta qua e là un po’ cerebrale, ma nell’insieme si tratta di un film interessante, se vogliamo qua e là un po’ troppo ideologico e assiomatico, ma comunque interessante, per esempio nell’attenzione che viene riservata alle comunità protestanti stabilitesi, immaginiamo, in Sardegna alle quali partecipano immigrate e immigrati, in un sorprendente coacervo di lingue (inglese, italiano, una delle lingue originarie della Nigeria, non sappiamo ovviamente quale, se hausa, yoruba, igbo, edo). Quel che non ci è garbato è il titolo. Come quando un calciatore particolarmente importante lascia la professione e con lui viene ritirata la maglia, anche per Princesa, dopo la canzone di De André, bisognerebbe lasciar perdere.
L’origine del titolo sembrerebbe dovuta a una minuscola sequenza, fatta di singole immagini riprodotte da un proiettore ballonzolante, di cui non si capisce l’origine, in cui si intravede la chiglia di una barca che si chiama “Sea Princess”, ma è solo un’ipotesi. L’attivazione dello spettatore chiamato a congetturare è del resto quel che sembra costantemente chiedere Muresu invitando chi guarda il film a creare delle relazioni sintagmatiche tutt’altro che evidenti, come quando ad esempio ci sembra di vedere la protagonista attrice di un film di Hollywood.
Cast & Credits
Princesa – Regia: Stefania Muresu; sceneggiatura: Stefania Muresu; fotografia: Stefania Muresu; montaggio: Enrico Masi; interpreti: Favour Osazuwa; produzione: Roda Film, Regione Autonoma della Sardegna; origine: 2021, Italia; durata: 49′.