Lea (Lily McInerney) ha diciassette anni, vive con la madre (Gretchen Mol) senza il padre, passa le giornate da sola o con la sua migliore amica a prendere il sole, guardare i social, parlare di ragazzi. È annoiata, non sorride mai, beve quando la comitiva di suoi amici beve, fuma quello che le passano di mano in mano, lascia che un ragazzo abbia un rapporto sessuale con lei in macchina mentre lei è totalmente distante, col corpo e con la mente. Dalla sua cameretta, alcune notti ascolta l’attività sessuale della madre che non trova mai un compagno stabile: le due non riescono ad avere un dialogo sereno, la piccola contesta la grande, non capisce di essere importante per lei, non la considera un punto di riferimento centrale, si sente persa senza averne neppure la consapevolezza.
Ad un tratto, durante una sera di baldoria scema da adolescenti, viene soccorsa da un uomo di trentaquattro anni, Tom (Jonathan Tucker), alto e piacente, molto premuroso e attento, che la scorta fino a casa. Lea non si ritiene meritevole di tale trattamento, lo riceve come un dono dall’alto, ne è sorpresa, estasiata, ne trae beneficio per migliorare la qualità delle sue giornate. L’uomo è di poche parole e molti fatti, proclama di vivere la vita che vuole ovverosia senza fare nulla, è cresciuto anche lui senza padre, di conseguenza ne condivide con lei l’assenza perché la conosce personalmente, sulla sua pelle. Alle confessioni della ragazza riguardo alla indifferenza materna Tom dichiara: “Alcune persone non avrebbero diritto di fare figli, e invece ne fanno”, frase che poi Lea ripeterà, per ferirla, alla madre che la accoglierà allibita, offesa, infuriata. I due si frequentano senza dar peso alla differenza di età, vanno al mare insieme (dove incontrano una conoscente diciassettenne che la sbugiarderà con la comitiva di amici: “ora stai con un geriatrico”), lei scopre con l’adulto le gioie del sesso: Tom espone l’espressione facciale furbetta di chi ha capito tutto della vita, Lea – consapevole di non avere capito nulla – tra le sue braccia trova la pace.
Qualche avvisaglia morbosa trapela lungo la trama ma principalmente il film svolta in direzione imprevista a mezz’ora dalla fine quando – nonostante l’invariato stile lineare e quieto, senza musica in crescendo o espedienti superflui a modificare la tensione, con movimenti di macchina lenti o fissi su scene al limite della sopportazione – lo spettatore comprende finalmente cosa stava succedendo e cosa era successo sotto ai suoi occhi senza che risultasse evidente.
Se Jonathan Tucker ricorda uno Sean Penn degli esordi (occhio acceso e sorriso sornione), Lily McInerney, nella struttura spigolosa del viso, porta alla mente Keira Knightley di Espiazione (Joe Wright, 2005), senza avere nulla da invidiarle in quanto a naturalezza davanti alla macchina da presa.
Scrittura senza errori, recitato perfettamente. Direzione degli attori e della scena sapiente e asciutta, tagliente e dura di Jamie Dack, premiata al Sundance Film Festival 2022.
Palm Trees and power lines; Regia: Jamie Dack; sceneggiatura: Jamie Dack, Audrey Findlay; fotografia: Chananun Chotrungroj; montaggio: Christopher Radcliff; musica: Mikaila Simmons; interpreti: Lily McInerney, Gretchen Mol, Emily Jackson, Quinn Frankell, Jonathan Tucker; produzione: Leah Chen Baker, Jamie Dack, Kate Antognini; origine: USA, 2022; durata: 110’.