All the Streets are Silent di Jeremy Elkin

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Nel dicembre scorso andava in sfilata l’ultima collezione di Virgil Abloh per Louis Vuitton. Lo stilista era morto qualche settimana prima e lasciava in eredità un filone che legava alta moda e streetwear. Il profumo del lusso e il puzzo dei vicoli americani a catwalk, insieme. All’epoca era stata una rivoluzione, ma una rivoluzione nasce nella polvere e nella polvere di trent’anni prima questa era nata: hip hop come colonna sonora, graffiti per sfondo, gli skaters i personaggi e New York, soprattutto New York, il palcoscenico.

Quando alla fine degli anni ’80 Warhol, Haring, Basquiat e tutta quella generazione sparì, lasciò un vuoto nella città. Ma NY è sempre stata brava a reinventarsi.

All the Streets are Silent – La Scena Skate e Hip Hop a NY (1987-1997) parte da lì, dalla morte di una generazione alla nascita di quella successiva. Dopotutto, la Grande Mela fa un baccano dannato per vivere e coloro che vi vivono devono fare altrettanto per sopravvivere, soprattutto se vengono dal ghetto, dal South Bronx o da Brooklyn, e un posto nel centro della città, Manhattan, devono ritagliarselo. Ognuno con i suoi strumenti.

L’hip hop era una cosa da neri, lo skate una cosa da bianchi

Le due pratiche sono come quei sette sosia che ognuno di noi ha nel mondo e che alcuni magari finiscono per incontrare una volta nella fila. In questo caso i due sosia stanno a meno di dieci chilometri di distanza e ognuno fa la sua vita prima di potersi rincontrare; certo, sanno dell’esistenza dell’altro, girano attorno come due pianeti gemelli, eppure oltre l’attrazione gravitazionale, agli inizi, poco altro. L’hip hop cerca di esplodere, ma quella musica è rabbia e sapere presentare la rabbia al pubblico non è lavoro da tutti, bisogna venire da Marte.

Club Mars è il locale nel quale Yuki Watanabe porta l’hip hop e fa il miracolo: lo rende inoffensivo, «potevi fare una serata hip hop senza che nessuno morisse». E se non fai del male, allora vengono tutti lì, dj e pubblico:

Chiunque facesse parte del fottuto mondo dell’hip hop andava lì: Public Enemy, Q-Tip, KRS-One, Ice Cube, Jay-Z, Moby, Kid Capri

I quartieri bassi andavano al Mars, i quartieri alti andavano al Mars, accanto alla modella c’era il tossico, accanto allo spacciatore il giornalista, e gli skaters (il sosia non ancora riconosciuto) erano guardati con sospetto ma avevano il loro ingresso privilegiato perché «non importa da dove vieni, ma se eri lì».

Ma gli anni ’80 sono solo una rampa di lancio, sono già gli anni ’90 e il programma radio The Stretch Armstrong and Babbito Show apre le frequenze. È (il) successo. L’Hip Hop raggiunge l’altra costa, la West, e da lì va nel mondo: Dr. Dre e B.I.G. i nuovi nomi. Tuttavia, ogni cosa ha il suo tempo, e più il fuoco è alto, più velocemente le sterpaglie sono ridotte in cenere. Club Mars chiude perché i morti ora c’erano («sono arrivate le gang»), ma se l’hip hop ormai è oltreoceano, c’è qualcosa che rimane intimamente newyorkese. È lui, è il sosia dimenticato: gli skaters.

Loro sono fedeli a NY, loro non possono andarsene da NY. Sono tutto il giorno per strada, skate e videocamera per riprendersi, slang e minacce contro gli automobilisti che gli attraversano la strada. Be’, allora qualcuno salta fuori con un’idea: perché non aprire un negozio di skates? Bella idea, non ce ne fossero…well, perché non aprire un negozio di skates dove gli skates sono opere d’arte? Nasce Zoo York, nasce il brand Supreme. Ciò che prima erano ragazzi lanciati per le strade, ora per quelle strade sono gli stessi ragazzi, ma vestiti Supreme. E se i boulevard newyorkesi li hanno conquistati, la musica l’hanno invasa, la moda pure, ora tocca al cinema: Larry Clark vede qualcosa e vuole ri-prenderlo. Nasce Kids (1995), gli attori presi da downtown e un successo che arriva a Cannes. Anche gli skaters, i fratellini, sono riusciti a fare il giro del mondo.

Passato al Tribeca Film Festival 2020, All the Streets are Silent ha ciò che dovrebbe avere qualsiasi documentario: essere fucking interessante, per chiunque. Montato in modo tradizionale, alternando interviste ai protagonisti dell’epoca e video originali, ha dalla sua riprese di prima mano genuine e fresche nonché una costruzione ordinata che rende chiara l’evoluzione non solo dello street ma di NY, della capacità della città di reinventare se stessa e il mondo dell’arte in toto perché, alla fine, «quell’epoca è arrivata fino a noi».

Si racconta in fondo di una generazione di giovani, chi ricco e chi povero, che ha saputo coniugare arte e business e che sapeva che «essere nel posto giusto al momento giusto è tutto per avere successo». Quella generazione era nata nel ghetto e in note e una tavola di legno con ruote cercava e magari trovava «l’amore che nel ghetto non c’era». Partiti dal nulla, tra bidoni e taxi, non erano nessuno e improvvisamente erano tutto, perché tutti, dalla West Coast all’Europa, volevano essere loro. Ma nessuna artificialità perché veramente

Noi saremmo morti per New York

Dal 18 luglio al cinema


All the Streets are Silent – La Scena Skate e Hip Hop a NY (1987-1997)regia: Jeremy Elkin; interpreti: Rosario Dawson, Fab5 Freddy, Stretch Armstrong, Leo Fitzpatrick, Moby e Darryl McDaniels; durata: 89’; origine: USA; distribuzione: Greenwich Entertainment.

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