Verona: Il mio cuore è con Cesare con Alessandro Preziosi

Be’, Cesare è morto. No, Cesare è stato ucciso, ma non è importante. Cesare è stato ucciso da loro, Bruto, Cassio e tant’altri senatori, ma anche questo non è importante. Cesare era spiccioli di uomo e spiccioli di divinità, Cesare era l’ambizione, Cesare ha rifiutato la corona tre volte. Ma anche questa, di nuovo, non è la questione più importante. È importante invece che prima c’era un mondo di semidei o dittatori, di assassini o uomini di onore spinti a scegliere l’amore per un padre o il bene comune, e poi c’è lui, c’è Antonio. Questa è la questione. Perché Antonio non è l’ultimo dei romani né l’ultimo romantico, Antonio è invece il primo dei politici che facendo cadere le parole, e non i pugnali, aizza il gregge. Antonio infatti indossa la giacca per celebrare l’orazione funebre di Cesare e la giacca la indossa Alessandro Preziosi.

È una notte di caos, l’equilibrio del mondo vacilla. Quelle notti shakespeariane nelle quali ciò che ha dell’incredibile accade e il credibile non ha posto: fiamme escono dalle tombe, leonesse si aggirano per la città, il Tevere ribolle. Calpurnia sogna Cesare fatto fontana di sangue, Cesare ascolta Calpurnia e Antonio ascolta Cesare. Non andare alla Curia di Pompeo. Sono le idi di Marzo. Ma quella fontana di sangue può essere presagio positivo: i romani si abbeverano della grandezza di Cesare divenuto Re, quel giorno, alle idi di Marzo per mano dei senatori. E poi: “Cesare temi tu le Idi di Marzo? Cesare ha paura?”. No. Cesare non ha paura. L’ambizione non può lasciare spazio alla paura. E allora è di nuovo notte di fuoco e nel fuoco c’è chi è insonne, Bruto, e chi attraversa la vampa, Cassio, e infine c’è chi li osserva. Di nuovo, Antonio. E parla in un sibilo: “Cesare, temi tu le idi di Marzo? Cesare ha paura?”. Luce rossa. Cinque corpi in scena. Un corpo evocato, martoriato, quello di Cesare, quattro corpi in scena, quelli degli artisti.

Ne sono sufficienti quattro di corpi, due strumenti, un violoncello (Maria Cecilia Baroli) e un flauto (Massimo Mercelli), una console (Giacomo Vezzani) e una voce perché il Giulio Cesare sia messo in scena. La musica è il giusto sottofondo al fiume irrequieto delle parole. E le luci, calde, fredde, immerse nella nebbia che pullula di volti e figure d’ombra, perché la Roma di quei giorni e di quelle notti vagheggi sullo sfondo. I personaggi vengono chiamati, uno a uno: Antonio, Cesare, Cassio, Bruto, Calpurnia appaiono per sussurro, risata, voce profonda, voce fine a sbucare dall’oscurità. Preziosi diventa così tanti corpi e un solo corpo, Antonio, diventa tante voci e una sola voce, Antonio, ed Antonio ascolta e vede tutto. Perché Antonio sa. Sa di questa congiura imperfetta che è in atto, sa che i congiurati vogliono e non vogliono, sa che Cesare è talmente ambizioso che potrebbe…ma Antonio ne è a conoscenza, e soprattutto aspetta.

Il mondo romano, almeno quello shakespeariano, è il mondo dei grandi gesti. Chi muore deve essere un dio. Chi uccide può essere soltanto un regicida riscattato dall’ambiguità, ambizione o amore per il bene comune. I personaggi sono insensatamente tragici. Ciò non vuol dire che siano forti, anzi, alcuni sono perfettamente deboli, ma sono personaggi che devono confrontarsi con la grandezza del destino che a forza li chiama mentre intorno a loro c’è il gregge. C’è la plebaglia. E la plebaglia guarda sì i grandi gesti, ma soprattutto ascolta le parole e dalle parole si fa guidare. Le parole di chi le parole le sa usare. Le parole di Antonio.

Romani, amici romani, mi rivolgo a voi

Si ha inizio con un’orazione funebre e si conclude con l’orazione funebre, ma soprattutto si inizia con un personaggio e si finisce definendo quel personaggio. Solo allora, per lui, per Antonio, Preziosi si rimette la giacca. La musica, sottofondo adatto per dare corpo e tono a un’opera scremata da corpi e movimenti, finisce di girare in tondo e inizia a salire, e insieme a lei sale la voce che rivela l’ambiguità di Antonio. E il personaggio si articola, lui che non è forte o debole, non gli importa essere l’uno o l’altro, soltanto gli importa esserci quando gli altri saranno corpi senza vita. Perché lui è Antonio, lui è il primo dei nuovi politici e la sopravvivenza, politica e fisica, viene prima di tutto. Sopravvivenza e Ambizione. Per farlo, il gregge, domare le persone con le parole. E così le luci si accendono sul pubblico, non siamo più noi a guardare Roma, ma è Roma che guarda noi. I fogli non vengono più riposti con cura sul leggio ma vengono lasciati cadere a terra e allora, a fronte delle promesse fatte a loro, Bruto e Cassio, uomini onorevoli, onorevoli certo, si può dire che

Né di legno né di pietra, voi popolo di Roma siete uomini ed eredi di Cesare.

E il popolo di Roma, fermo, non rimarrà.

P.S. Rimane invece di difficile comprensione la canzone finale – Preziosi, voce, e Vezzani, musica elettronica di sottofondo – che certo non si discosta tanto dal tono generale, e che ha forse come obiettivo quello di ridare centralità alle due, protagoniste dello spettacolo, ma che suona un poco forzata. Meno efficace di quanto si sia visto fino a quel momento.

Spettacolo andato in scena l’8 e il 9 luglio a Verona, Teatro Romano.

Seguiranno:

  • R+G di Tommaso fermariello – 11 luglio
  • Boomers – 15 e 16 luglio
  • Racconto d’Inverno – 19/26 luglio (escluso il 24)
  • Verona Shakespeare Fringe Festival – 22/28 agosto


Il mio cuore è con Cesare con Alessandro Preziosi – dal Giulio Cesare di William Shakespeare – adattamento: Tommaso Mattei; musiche originali: Giacomo Vezzani; performing live: Massimo Mercelli (flauto), Maria Cecilia Baroli (violoncello), Giacomo Vezzani (live electronics); produzione: Khora teatro.

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